Porter
Wagoner "The
Thin Man From The West Plains"
Alle
rinascite artistiche ci siamo abituati ormai, diciamo la verità, specialmente
negli ambiti a noi più congeniali della roots music e del country. Ma francamente
a Porter Wagoner non ci pensava nessuno, anche perchè la sua smilza figura
di arcigno difensore della purezza nashvilliana non era più di moda da
parecchi anni a questa parte. Wagonmaster
lo ha rimesso al centro delle cronache e siamo grati al disco, alla Anti e a Marty
Stuart per l'operazione. Qui di seguito vi raccontiamo tutto quello che è
venuto prima
di
Gianfranco Callieri
::
Il ritratto
Born: 12 agosto 1927 West Plains, Missouri, USA
Died: 28
ottobre 2007 Nashville, Tennessee, USA
"Il tipo smilzo dalle pianure
dell'ovest", come recita il titolo di una delle sue canzoni più famose e del
bel cofanetto quadruplo che la tedesca Bear Family gli ha dedicato nel 1993, nasce
il 12 agosto del 1927 a Howell County, nel Missouri, sulle alture di quelle montagne
Ozark ai confini con l'Arkansas da cui, tanti anni dopo, fuoriusciranno altri
e ben noti "scavezzacollo". Attraversa gli anni della depressione e della Seconda
Guerra Mondiale come tanti altri hillbilly bianchi del periodo, arrabattandosi
tra un lavoretto e l'altro ma soprattutto restando folgorato, nel 1949, da un'esibizione
di Hank Williams al Grand Ole Opry di Nashville: per Porter si tratta della
prima visita alla capitale del country, e la Lovesick Blues di Hank Sr gli spalanca
di fronte un mondo di possibilità. Nel 1952, dopo aver condotto diversi programmi
radiofonici, riesce a strappare un contratto alla Rca, grazie anche all'interessamento
di Red Foley, che ha modo di ascoltare la sua prima band, gli improvvisati Blue
Ridge Boys, mentre trasmette per l'emittente KWPM dal retrobottega di un macellaio
(!) di Springfield, Missouri. E' così che Wagoner sperimenta i primi successi,
proponendo uno stile country viscerale e pimpante, che alle scariche honky-tonk
del nume tutelare Hank Sr abbina un timbro vocale squillante e un gusto per la
narrazione di stampo teatrale. Di queste qualità, nonché di una presenza scenica
fuori dal comune, si accorgono i programmatori della ABC, che lo vogliono nel
cast della trasmissione "Ozark Mountain Jubilee", cui Wagoner partecipa fino al
1957 (anno del suo ingresso nel Grand Ole Opry), sempre accompagnato dai fedeli
Don Warden (steel) e Herschel "Speedy" Haworth (chitarra elettrica).
La televisione rappresenta senz'altro uno dei fattori più importanti nella crescita
della popolarità dell'artista: è uno dei pochi a capire davvero le potenzialità
del mezzo, che sfrutta per diffondere la musica country in tutti gli Stati Uniti,
e a non utilizzarlo in modo puramente meccanico (vedi alla voce Johnny Cash).
Il "Porter Wagoner Show", difatti, va in onda per 21 anni a partire del
1960 e diventa una delle passerelle più ambite del settore, nel 1967 introduce
al mondo l'esuberanza di Dolly Parton (con la quale Porter registra album
in coabitazione fino al '74), si occupa di tematiche sociali anche scomode e vede,
nel ruolo di immancabile house-band, la migliore formazione country del periodo
(in lizza per il titolo con i Buckaroos di Buck Owens), gli Wagonmasters,
con Buck Trent al banjo, George McCormick alla chitarra, Mack Magaha al violino,
Michael Treadwell al basso e il citato Warden ancora alla steel. Nel frattempo
l'artista provvede a cucirsi addosso un "personaggio" riconoscibile ricorrendo,
per il proprio guardaroba, a un sarto eccentrico come Nudie (lo stesso
che taglierà i completi di Gram Parsons), prendendo posizione su argomenti controversi
senza troppe remore e cercando di intercettare i frutti migliori del nuovo movimento
folk che sta nascendo tra i vicoli di New York (uno dei suoi maggiori successi,
in coppia con la Parton, sarà una rilettura della The Last Thing On My Mind di
Tom Paxton). Wagoner decide di ritirarsi dalle scene nel 1976, e nonostante continui
sporadicamente a incidere qualcosa, fino al '79 il suo gesto più significativo
è quello di trascinare James Brown a esibirsi nel Grand Ole Opry. Dopo una disputa
legale presto risolta con la Parton, nel 1982 Clint Eastwood lo vuole per
il ruolo di Dusty nel suo Honkytonk Man, straziante ritratto di
un country-singer tubercolotico, e gli produce un album per la divisione della
Warner da lui diretta. Gli anni '80 portano in dote svariati e dimenticabili tour
col gruppo femminile delle Right Combination, ma soprattutto rinnovate ambizioni
gospel (che si concretizzano in una fruttuosa partnership con l'etichetta King
e nel susseguente appellativo di "King Of Country Gospel") e un preminente ruolo
organizzativo nel board dell'Opry. Nel 2000, infine, arrivano un disco nuovo e
un poco significativo compendio acustico dei passati successi, ascoltando i quali
trapela il sospetto che Wagoner s'intenda di vangelo, sì, ma abbia pure firmato
qualche strano contratto allo zolfo: la sua voce è sempre la stessa di cinquant'anni
fa.
::
Il capolavoro
Confessions
Of A Broken Man [RCA/ Victor 1966]
1. Men With Broken Hearts // 2. I Just Came To Smell The Flowers // 3.
May You Never Be Alone 4. Skid Row Joe // 5. Try Me One More Time // 6. How Far
Down Can I Go // 7. I'm A Long Way From Home // 8. Confessions Of A Broken Man
// 9. My Tries Are Overdue // 10. I've Been Down That Road Before // 11. Thy Burdens
Are Greater Than Mine // 12. My Last Two Tens
Il disco d'esordio, A Satisfied Mind (1956), ne
aveva stabilito le qualità sopraffine di interprete. Ma dopo aver esplorato in
lungo e in largo tutte le diramazioni della musica delle radici, dal bluegrass
al country, dal country&western alle ballate in saccarina; dopo essersi persino
concesso il lusso di una divagazione gospel con i Blackwood Bros, di un album
dal vivo registrato in Louisiana e di una prima antologia salutata da un notevole
riscontro commerciale, Porter Wagoner decide di cimentarsi per la prima
volta su di un progetto concettualmente unitario, nel modesto tentativo di raccontare
un'idea romantica di sradicamento e ossessione individualista che è poi uno dei
miti fondanti dell'America stessa. Sebbene almeno altri tre o quattro titoli dello
stesso autore possano concorrere senza troppe esitazioni a contendergli il podio,
non è azzardato definire Confessions Of A Broken Man l'album migliore
di Porter Wagoner, nonché una delle pietre miliari del country del dopoguerra.
Come in tutti i primi album dell'artista, a sedere in cabina di regia c'è sempre
Chet Atkins, il cui inconfondibile pickin' chitarristico, con tracce di
jazz e pop, influenza in misura determinante l'atmosfera laid-back e pigramente
folkie dell'intero lavoro. Altrettanto jazzy è la chitarra di Hank Garland,
che assieme al violino di Tommy Jackson e al pianoforte di Floyd Cramer
architettano quelle che si possono considerare a pieno titolo forme primigenie
di ballata rock. Wagoner pesca a piene mani dal repertorio dell'idolo Hank Williams,
rileggendo in rustica chiave hillbilly l'elegia sentimentale di Men
With Broken Heartse conferendo tratti quasi spiritual a May
You Never Be Alone e I've Been Down The Road
Before, ma il pezzo forte del disco è l'inedita Skid
Row Joe, desolata ballad dove Freddie Hart ritrae un cantante in disgrazia
che, ubriaco fradicio, importuna i passanti per raccontargli la sua triste storia.
Ma non sono da meno il sofferto lamento country della stupenda Try
Me One More Time (uno degli standard del genere, scritta da Ernie Tubbs)
o il malinconico Hank Cochran di I'm A Long Way From
Home, così come la doppietta finale Thy Burdens
Are Greater Than Mine / My Last Two Tens,
che chiude la partita in pieno trasporto gospel. Confessions Of A Broken Man affronta
le classifiche ottenendo risultati tiepidi, ma in retrospettiva è impossibile
non leggervi una delle sintesi più espressive delle molte anime del suo autore,
poiché intreccia respiro religioso e guaiti del doposbronza, incalzante honky-tonk
e sussulti old-timey con disinvoltura assolutamente cruciale. E' l'album attraverso
cui Porter Wagoner è riuscito a dire quasi tutto di sé, e nei modi cercati (spesso
senza ritrovarli con la medesima vena) per una vita intera.
::
Dischi essenziali
Green Green Grass Of Home [Rca/Camden 1968]
Nella
seconda metà degli anni '60, Porter Wagoner è assai impegnato a drizzare
le antenne un po' dappertutto: ascolta e apprezza la brit-invasion, si interessa
ai nuovi folksinger di stampo beat ed è soprattutto impressionato dal testo di
un successo inglese di Tom Jones, Green Green Grass Of Home. La
canzone rappresenta il sogno di un condannato a morte, momentaneamente intento
a ricordare il paesaggio di casa e i volti familiari che si lascerà alle spalle.
Per Wagoner, il brano costituisce una buona occasione per dare il "la" ad un progetto
di chiara impronta rootsy, dove dedicarsi con maggiore impegno a quelle molteplici
cause sociali che mandano in fibrillazione gli Stati Uniti del periodo. Il disco
che ne risulta, sebbene intriso di country fino al midollo (ascoltate lo spettacolare
valzer di Man In The Little White Suit, da
Dallas Frazier, o lo stomp festaiolo di una Keeper Of
The Key scritta a quattro mani da Harlan Howard e Wynn Stewart), non
sfigurerebbe nelle discografie di Eric Andersen o del primissimo Bob Dylan. E
se non c'è dubbio che la soave atmosfera campagnola di Ole
Slew Footo della più scaltrita Stranger's
Story poco abbiano in comune con la poetica stradaiola dei due nomi
poc'anzi citati, la commossa invocazione I Dreamed I
Saw America On Her Knees si impone alla stregua di quella cantica folkie
generazionale e strappacuore che all'epoca entrambi hanno già smesso di scrivere.
Produce il solito Chet Atkins, e non c'è una virgola fuori posto
Always Always (w/ Dolly Parton)
[Rca/Victor 1969]
Della
dozzina di titoli realizzati a quattro mani da Porter Wagoner e Dolly Parton,
non è detto che questo sia il migliore. Un serio contendente, per esempio, è Just
The Two Of Us ('68), comprensivo di un piccolo capolavoro come Jeannie's Afraid
Of The Dark e di un'eccelsa versione di The Dark End Of The Street. Eppure, Always
Always, prodotto da un altro figlio del Missouri, quel Bob Ferguson già
ai cursori per i dischi di Charley Pride, risulta senz'altro il lavoro più solare
e scanzonato del duo, inzuppato com'è di spensieratezza, ironia e grandi canzoni.
Contiene infatti tre ottimi brani autografi della Parton, persino una Malena
che è forse il suo primo, indimenticabile ritratto di donna volitiva e coraggiosa,
la solita selezione di country da grandi occasioni (l'immancabile Harlan Howard
nel menù) e un brano scritto apposta per l'occasione da Lee Fykes, Milwaukee
Here I Come, trent'anni dopo inclusa da John Prine nel suo sottovalutatissimo
In Spite Of Ourselves. Si tratta di un piccolo gioiello di comicità, in cui la
Parton, all'epoca legata sentimentalmente a Wagoner, è costretta a cantare a squarciagola
versi come questo: "We were watching TV Poter Wagoner [in origine Ernest Tubb,
NdR] was singing loud / I said that's the man I love, there's no doubt / I'm leaving
you and going now to find where he's at / If I can't get him I'll settle for that
bluegrass Lester Flatt". Come si fa a non amare un disco con una partenza simile?
::
Il resto
Rendere
conto per intero di tutti i tasselli componenti una discografia sterminata come
quella di Porter Wagoner è impresa improba. Al lettore curioso basti sapere
che il nostro si è sempre diviso più o meno equamente tra country & western puro
(Me & My Boys, '69), soprassalti gospel tanto repentini quanto regolari
nel loro succedersi (consiglio al riguardo il bellissimo In Gospel Country,
'68), parentesi improntate al cabaret e più che altro desunte dalle evoluzioni
televisive (per esempio You Gotta Have A License, '70, dove la licenza
in questione e quella di caccia e pesca), lavori più personali e rigorosi (ancorché
divertentissimi, come il piccolo capolavoro The Farmer, '73, uno
dei pochissimi quasi interamente firmati dall'autore e illuminato dal memorabile
scioglilingua di Country Bo-Bo), sfide da cantautore (con un Highway Headin'
South, '74, che non dispiacerebbe a Joe Ely) e le inevitabili raccolte
di quelli che in gergo si chiamano "tearjerkers", i brani strappalacrime tipici
della tradizione country: in tale ambito, oltre all'ottimo The Bottom Of
The Bottle ('68), naturalmente non dedicato al consumo di latte, resta
indimenticabile la copertina di The Cold Hard Facts Of Life ('67),
dalla quale apprendiamo che i "duri e freddi fatti della vita" altro non sono
se non le eventuali corna che la fidanzata di ciascuno di noi può rifilare. Ma
sappiate che c'è del buono in ogni fase di carriera, e che pure cercando alla
cieca è più o meno impossibile imbattersi in fregature vere e proprie. A voi il
piacere della scoperta
::
Riepilogo (discografia)
Satisfied
Mind (Rca/Victor, 1956)
A Slice Of Life (Rca/Victor, 1962) 1/2
Sing Duets [w/ Skeeter Davis] (Rca/Victor, 1962)
The Porter Wagoner Show (Rca/Victor, 1963)
A Satisfied Mind (Rca/Camden, 1963) 1/2
[ristampa del primo album con brani in più] Y'all
Come (Rca/Victor, 1963)
In Person (Rca/Victor, 1964) 1/2
The Bluegrass Story (Rca/Victor, 1964) 1/2
An Old Log Cabin For Sale (Rca/Camden, 1965)
1/2
The Thin Man From West Plains (Rca/Victor, '65)
Your Old Love Letters (Rca/Camden, 1966) 1/2
Grand Old Gospel [w/ Blackwood Bros] (Rca/Victor,
1966)
On The Road (Rca/Victor, 1966) 1/2
Confessions Of A Broken Man (Rca/Victor, 1966)
I 'm Daydreamin' Tonight (Rca/Camden, 1966)
1/2
Soul Of A Convict (Rca/Victor, 1967) 1/2
The Cold Hard Facts Of Life (Rca/Victor, 1967)
More Grand Old Gospel [w/ Blackwood Bros] (Rca/Victor,
'67)
Green Green Grass Of Home (Rca/Camden, 1968)
1/2
Just Between You And Me [w/ Dolly Parton] (Rca/Victor, 1968)
The Bottom Of The Bottle (Rca/Victor, 1968)
In Gospel Country [w/ Blackwood Bros] (Rca/Victor, '68)
Just The Two Of Us [w/ Dolly Parton] (Rca/Victor,
1968)
The Carroll County Incident (Rca/Victor, 1969) 1/2
Country Feeling (Rca/Camden, 1969)
Me And My Boys (Rca/Victor, 1969)
Always Always [w/Dolly Parton] (Rca/Victor, 1969) 1/2
Howdy Neighbour Howdy (Rca/Camden, 1970)
You Gotta Have A License (Rca/Victor, 1970)
Porter Wayne & Dolly Rebecca [w/ Dolly Parton] (Rca/Victor,
1970) 1/2
Once More [w/ Dolly Parton] (Rca/Victor, 1970)
1/2
Country (Rca/Camden, 1971)
Two Of A Kind [w/ Dolly Parton] (Rca/Victor,
1971)
Simple As I Am (Rca/Victor, 1971)
Sing His Own (Rca/Victor, 1971)
The Right Combination [w/ Dolly Parton] (Rca/Victor,
1972) 1/2
What Ain't To Be Just Might Happen (Rca/Victor, 1972)
Ballads Of Love (Rca/Victor, 1972)
Together Always [w/ Dolly Parton] (Rca/Victor,
1972) 1/2
Experience (Rca/Victor, 1972)
We Found It [w/ Dolly Parton] (Rca/Victor, 1972)
1/2
I'll Keep On Loving You (Rca/Victor, 1973) 1/2
Love And Music [w/ Dolly Parton] (Rca/Victor,
1973) 1/2
The Farmer (Rca/Victor, 1973)
Tore Down (Rca/Victor, 1974)
Porter'n'Dolly [w/ Dolly Parton] (Rca/Victor,
1974)
Highway Headin' South (Rca/Victor, 1974)
Sings Some Love Songs (Rca/Victor, 1974)
Say Forever You'll Be Mine [w/ Dolly Parton] (Rca/Victor,
1975)
Porter (Rca/Victor, 1977) 1/2
Today (Rca/Victor, 1979)
When I Sing For Him (P&J, 1979) n.p.
Viva (Warner Bros./Viva, 1983)
Porter Wagoner & The Right Combination (Astan, 1984) n.p.
Porter Wagoner (Dot/Mca, 1986) n.p. The
Best I've Ever Been (Shell Point, 2000) 1/2
Unplugged (Shell Point, 2002)
22 Grand Old Gospel 2004 (King/TeeVee, 2004)
18 Grand Old Gospel 2005 (King/TeeVee, 2005)
Gospel 2006 (King/TeeVee, 2006) 1/2
Gospel 2007 (King/TeeVee, 2007) n.p