Grant Lee Phillips (1963
Stockton, California), nato in una famiglia che annoverava
tra i suoi antenati numerosi pastori pentecostali, ha rivelato di aver avuto,
fin da ragazzino, numerose influenze. "Ascoltavo alla radio artisti come il camaleonte
inglese del rock ed eroe glam David Bowie e i campioni del metal bubblegum Kiss,
e allo stesso tempo amavo la musica dei cantanti che amava mia nonna come le leggende
del country Buck Owens e Merle Haggard.". Ispirato da questi vari ed eterogenei
artisti Phillips a 13 anni comincia a suonare la chitarra e in poco tempo si sperimenta
come scrittore di canzoni, arrivando anche a formare una band, i Bloody Holly.
Nel 1983 Phillips, che ha 19 anni, insieme all'amico Jeffrey Clarke, un bassista,
si sposta da Stockton, città natale, nella South California e insieme cominciano
a suonare come Shiva Burlesque. In quel periodo la scena musicale di Los
Angeles sente ancora il riverbero della rivoluzione punk, e gli ideali musicali
di Phillips si creano in base a quello che vede in piccoli club, come il Cathay
De Grande. Nel 1985 Joey Peters (1965,
New York) si sposta da Santa Cruz, una città universitaria
sulla costa, verso nord in cerca di fortuna. Incontra gli Shiva e si unisce al
gruppo, che rimarrà con questa line-up fino al 1990. "In quel periodo abbiamo
lavorato sodo: suonavamo nei club, provavamo registravamo. Abbiamo un sacco di
nastri prodotti da un nostro amico, Bruce Licher dei Savane Republic.".
Gli Shiva Burlesque diventano in breve tempo un gruppo culto, la cui musica è
intrisa di elementi sixties e psichedelici, con testi piuttosto visionari. Autori
di un paio di dischi, cioè l'omonimo Shiva Burlesque e Mercury Blues,
non riescono però ad emergere nello show business, arrivando così alla defezione
dei due futuri GLB, maturati musicalmente, che vogliono sperimentare nuove soluzioni
sonore e che si rendono conto che ormai la scommessa Shiva Burlesque è al capolinea:
"Ci siamo accorti che stava nascendo un nuovo suono, un'altra band.". Poco prima
dello scioglimento degli Shiva, Paul Kimble (1960,
Freeeport, Illinois), futuro GLB, sta guidando verso la
California da Freeport, dopo che ha lasciato decidere la destinazione del suo
viaggio al risultato di una partita di baseball. Assiste ad uno spettacolo degli
Shiva e, colpito da quello che ha sentito e visto, esprime ad un amico il desiderio
di "entrare in questa band, rubare il chitarrista e il batterista e fondare una
nuova band.". Il suo desiderio si avvera e inizia così l'avventura di Peters,
Kimble e Phillips. Il metodo di lavoro è tanto semplice quanto efficace. Phillips
compone la struttura della canzone alla chitarra acustica, ci costruisce sopra
il testo e la propone al resto del gruppo. E' solo qui che inizia il lavoro di
Peters e Kimble, che hanno piena libertà di intervenire, proporre le proprie modifiche
e i propri arrangiamenti. Solo sulle registrazioni vengono individuati difetti
da sistemare e qualità da mantenere, prima che Kimble, come produttore, metta
mano all'ultimo missaggio. Nei due anni successivi i tre registrano, dal vivo
o su un quattro piste, tutto quello che Phillips non è riuscito a fare con la
precedente band. Sono anni intensi: suonano dal vivo senza riposo, quasi sempre
negli stessi club, accorgendosi che sta crescendo un certo seguito di persone
che apprezza il loro approccio alla musica. Suonano sotto varie denominazioni,
come Machine Elves o Mouth Of Rasputin, cambiando praticamente nome ad ogni nuovo
spettacolo. L'occasione per una soluzione definitiva si prospetta nel
1991, quando i tre giocano sul nome di Phillips e sui suoi argomenti favoriti.
"Grant Lee Buffalo era una specie di personaggio. Un misto di Buffalo Bill
e Harry Houdini e un'intera parte di storia e un'intera parte di incubi.". Alcuni
critici sottolineano che accostare Grant e Lee, che guarda caso sono i nomi dei
due più famosi generali della guerra civile, accanto al nome dell'animale, estinto
proprio a causa della colonizzazione del West, sottolinea anche la parte oscura
della storia stessa. Non si riesce a dargli torto, tanto che anche Phillips dichiara
che gli piace l'idea della molteplicità di contraddizioni, attivate da questo
nome. Ogni settimana la band suona al West Hollywood Cafè Largo, locale californiano
piuttosto rinomato, aumentando così gradualmente il proprio seguito. Manda un
demo alla Singles Only, una piccola etichetta portata avanti da Bob Mould (Husker
Du e Sugar). Sei mesi dopo i GLB iniziano un tour di una decina di giorni con
gli Sugar nella costa settentrionale della California. Il passo verso la collaborazione
con Mould è breve. Il singolo Fuzzy esce per
la Singles Only nel 1992 e lo stesso Mould definirà questa canzone "uno dei singoli
più forti" del catalogo della propria etichetta. Tra i fan della band c'è anche
Randy Kaye, dirigente della Slash Records, che un giorno, durante un'intervista,
si lascia sfuggire: "Le prime volte che sono andato al Largo c'era difficilmente
qualcuno là e, con l'avanzare del tempo, l'ho visto riempirsi e riempirsi fino
a che ho dovuto aspettare 45 minuti per entrare, anche quando li stavamo per mettere
sotto contratto.". |
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Fuzzy [Slash
1993] 1. Shining Hour // 2.
Jupiter and Teardrop // 3. Fuzzy // 4. Wish You Well // 5. Hook // 6. Soft Wolf
Tread // 7. Stars N' Stripes // 8. Dixie Drug Store // 9. America Snoring // 10.
Grace // 11. You Just Have to Be Crazy |
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"La registrazione di Fuzzy è stata molto strana. Abbiamo
lavorato velocemente. Le canzoni, gli arrangiamenti si sono sviluppati in fretta,
senza troppe mediazioni, esattamente come accadeva nei dischi che abbiamo sempre
amato. I Clash, i Velvet, tutto il garage sound. Neil Young, i Joy Division, Bertold
Brecht, un sacco di country, Johnny Cash soprattutto.". L'album ha un buon plauso
da parte della critica. Thom Jurek del Detroit Metro Times, al momento dell'uscita,
chiama Fuzzy "una non sofisticata fino all'imbarazzo, coraggiosa collection di
canzoni provocanti che offrono una visione della possibilità e irritazione nella
loro semplicità.". E' vero che si respira aria di semplicità tra queste canzoni,
ma c'è anche l'attenzione continua verso la sperimentazione sonora e il voler
raccontare, attraverso i testi, storie che partono dal reale e vanno a posizionarsi
nel sottile confine tra la realtà e l'immaginario. Non ci sono brani particolarmente
lunghi. I Grant Lee Buffalo riescono a sintetizzare in pochi minuti, senza
forzature, quello che vogliono comunicare ed esprimere in ogni brano. Non sono
una jam-band e quindi anche dal vivo non allungano le canzoni a dismisura, ma
cercano più che altro l'immediatezza e un impatto diretto. Sotto questo punto
di vista sono forse più punk di quello che si potrebbe pensare. "Best
record of the Year! Hands down.", il commento di Michael Stipe dei R.E.M., a sancire
il rispetto suscitato nei colleghi da parte di questo straordinario debutto. Non
è difficile credergli, dato che Fuzzy è uno dei migliori album degli
anni '90 e non deve mancare nella discografia di chi mastica il nuovo rock star
'n' stripes. Non cerca l'autocompiacimento e l'astrazione, ma sa scalfire con
efficacia le resistenze più dure. E' un album entusiasmante per le sonorità e
per le canzoni, tutte di grande livello. L'energia che si sente uscire da questi
solchi toglie qualsiasi possibilità di noia e ci trasporta attraverso undici brani
carichi di riferimenti al cosidetto "Paisley Underground", ma anche
al folk e alle sue attualizzazioni. Alcune song sono ballate per lo più acustiche
(The Hook, Wish You
Well, Fuzzy) dove traspare la vena
cantautorale del leader, mentre in altre (Grace,
America Snoring, Soft
Wolf Tread) le distorsioni della chitarra la fanno da padrone e la
scrittura si fa più impetuosa e il sound più introspettivo e notturno.
L'America dipinta da Grant Lee Phillips attraverso le sue piccole storie
è densa di malesseri ed egli non si pone limiti nel denunciare la situazione.
Sa descrivere con efficacia contraddizioni e sentimenti del suo tempo. Ha le idee
chiare anche sul ruolo che deve avere la musica rock: "penso che il rock 'n' roll
sia folk music, debba riferire quello che la gente sente. E' una forma di cultura
che vive a diretto contatto con la realtà: può essere un osservatorio, può capire
per tempo cosa succede o cosa succederà. E' questo quello che può fare principalmente
il rock 'n' roll.". | |
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Mighty Joe Moon [Slash 1994]
Il
secondo album dei Grant Lee Buffalo ripercorre le orme lasciate da Fuzzy,
espandendo lo scopo in termini di suono e di materia musicale, anche se è meno
immediato e diretto, entra a poco a poco e rivela un atmosfera più intimista e
più cupa. C'è ancora una certa prevalenza di sonorità acustiche, frutto sicuramente
del fatto che, per tutto il tour seguito a Fuzzy, Grant Lee Phillips ha suonato
la sua dodici corde acustica, inserendo effetti e distorsioni, quando necessario,
per dare più spessore al suo suono. "Mentre in studio adopero un gran numero di
chitarre e di strumenti diversi, sul palco uso quasi esclusivamente una dodici
corde acustica. Questo strumento ha già di per sé un suono molto più pieno di
una normale chitarra.". Gli fa eco Kimble: "Abbiamo cercato di conservare il suono
live delle canzoni, le parti vocali su disco erano le stesse proposte dal vivo,
così pure la batteria. Il suono della performance e l'impressione del concerto
sono presenti in queste canzoni.". Il cantato del leader si fa in certe canzoni
strascicato e sofferto, in altre violento e aggressivo. Il sostegno ritmico di
Joey Peters è ancora più roccioso (sentite Drag)
e Paul Kimble fa il suo onesto lavoro. Le deviazioni verso la
musica folk sono più spontanee e più facili da individuare. It's
The Life, Last Days Of Tecumseh,
Rock Of Ages e Happiness
sono un chiaro esempio di come si può fare grande musica attingendo dalle radici
e contestualizzandole ai nuovi sviluppi del rock. Per quanto riguarda i testi,
in Mighty Joe Moon perdono un po' il carattere narrativo a vantaggio
di una maggiore attenzione descrittiva. Mai banali o superficiali, continuano
alcune tematiche già affrontate precedentemente, come la ricerca di risposte e
di poter credere in qualcosa che liberi l'uomo dal pessimismo verso cui lo porta
la società. "L'America sta ancora russando, ed anche il resto del mondo. Dobbiamo
trovare un modo per conservarci in salute e in forza per attraversare questa condizione,
per superare le prove e le iniziazioni. Dove reperire la fede, la convinzione
interiore?". Si può avvertire quasi una certa atmosfera di religiosità in alcuni
episodi, come in It's The Life, una ballata acustica di una semplicità disarmante,
ma ugualmente ricca di luce mistica. Non si possono non notare analogie con la
musica sacra, che Phillips dice di aver ascoltato molto da piccolo, e con le folk
ballads, cui si rifà il soffice arpeggio della chitarra. L'organo in sottofondo
amplifica questo spirito, creando una specie di sensazione di sospensione. Lone
Star Song, apripista del disco, continua il discorso, non ancora concluso,
delle canzoni più grintose di Fuzzy. Ancora una volta c'è da segnalare l'attenzione
che i GLB hanno per gli attacchi delle loro canzoni più potenti, sempre poderosi
e di grande impatto. C'è voglia di stupire fin da subito, di mettere in risalto
le coordinate su cui si muoverà il resto della composizione. Colpisce
anche Mockingbirds, primo singolo e idealmente
dedicato a quei corvi che lo svegliavano all'alba durante il suo soggiorno a casa
di Peters. All'inizio solo chitarra acustica e voce, che nel ritornello ancora
una volta fa uso del falsetto, che piace da morire a Phillips. E' una ballata
che va sempre più in crescendo. Prima entrano la batteria e il violoncello, poco
comune nella musica rock e che rimanda alla musica classica, poi il pianoforte
e un assolo di elettrica. Poche note che riprendono il tema della melodia. Dopo
un bridge di organo, acustica e voce, la canzone riprende la sua pienezza e si
conclude sul ritornello. Last days Of Tecumseh,
della durata di un solo minuto, è una folk song per banjo e voce, che poteva benissimo
stare nel repertorio di mostri sacri di questo genere come Woody Guthrie o Pete
Seeger. Sembra una filastrocca, una di quelle canzoncine che si cantano per addormentare
i bambini. Particolarmente riuscita, Demon Called Deception
presenta delle atmosfere gotichegginati, che sconfinano in feroci interventi della
chitarra distorta, che cerca di squarciare con i suoi strali taglienti il velo
sonoro degli altri strumenti. Dal canto loro batteria e basso, duri e secchi come
la terra in estate, non lasciano concessioni a cedimenti di nessuna sorta |
Copperopolis [Slash, 1996] Copperopolis
è un album che ti coglie di sorpresa, ha una forma cantautorale più matura ed
evoluta. Phillips è molto soddisfatto del lavoro svolto nella composizione dei
brani e non perde occasione per sottolinearlo. "Ho sempre avuto molte canzoni
sulla solitudine da mettere nei nostri dischi. Questo è un passo verso un territorio
che in passato è già stato percorso da gente come Hank Williams, Billy Holiday
e molti altri, ma ogni canzone ha una sorta di teatralità a sé stante. Credo di
essere stato in grado di dedicare più tempo allo scrivere e a prendere in considerazione
queste cose. Rispetto al passato i testi di Copperopolis sono stati molto ponderati,
riscritti e corretti con attenzione. I testi di Mighty Joe Moon invece non erano
mai stati messi nero su bianco prima di essere cantati in studio. Non ho mai considerato
particolarmente riusciti i testi di quel disco.".
Homespun, brano d'apertura e primo singolo, è una grande canzone,
tirata e convincente. Le distorsioni della chitarra, è vero, sono meno sperimentali,
ma lo stesso riescono nel loro intento di infondere carisma ed energia. Particolarmente
interessante è il giro della batteria, piuttosto semplice e ripetitivo, ma dal
suono grezzo e scarno. Con The Bridge si cambia
già registro. Il tema del "ponte" è carico di significati, come il passaggio da
una condizione ad un'altra o il periodo intermedio tra due situazioni. La voce
di Phillips è sempre in primo piano, mentre non convincono pienamente i coretti
ululati alla Eagles (con tutto il rispetto per loro), che compaiono qui e là a
dare man forte. Bethlehem Steel parte dalla
cultura religiosa, che è stata parte dell'educazione di Phillips, per passare
ad elementi della sua realtà, passati attraverso il filtro della visionarietà.
Giostrata su pochi accordi di piano e sul violino, sul finale vorrebbe esplodere
in un orgia di elettricità, ma viene purtroppo troncata troppo velocemente. Un'attenzione
particolare a questo momento del brano avrebbe certamente portato a buon termine
il crescendo continuo, che si percepisce fin dall'inizio. "Penso che
Hyperion & Sunset non solo sia diversa dal
resto dell'album, ma anche da tutto ciò che abbiamo inciso finora. E' come il
movimento lento e lungo di una marea. Ha una melodia molto cupa: è una delle mie
preferite del disco.". Parole più adeguate non potevano essere spese per descrivere
brevemente questa canzone. Iperone, figura mitologica greca e padre del Sole e
della Luna, era uno dei Titani, figli di Urano e di Gea. Istigati dalla madre,
avevano combattuto il padre e, dopo averlo sconfitto, avevano eletto uno di loro,
Crono, re dell'universo. A quest'ultimo toccò la stessa sorte del padre, perché
venne spodestato dal figlio Zeus, che fece rinchiudere gli zii, che avevano preso
le parti del fratello, nel Tartaro. Phillips prende spunto da questo personaggio
per raccontare esperienze, che sicuramente vertono su situazioni vissute. La canzone
è veramente molto lenta e notturna. Tutto, il piano che accenna gli accordi, il
piccolo arpeggio di chitarra e la batteria spazzolata concorrono a creare questa
sensazione di quiete profonda e di intimità. | |
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Buffalondon
Live [Slash,
1993] Quasi
in contemporanea all''uscita dell'album Fuzzy, si presenta questo e.p. dal vivo,
registrato, come si deduce dal titolo a Londra il 15 settembre 1993 e composto
di quattro canzoni. E' un vero peccato che non si tratti di un album completo,
che poteva fotografare con più completezza la grande forza di questa band, che
dal vivo riesce a dare il meglio di sé. I Grant Lee Buffalo live sono granitici
e possenti, suonano con la stessa grinta di ragazzetti alle prime armi che sono
animati solo dalla voglia e dalla passione, non si risparmiano e non risparmiano
sulle potenzialità espressive dei loro strumenti e sulle proprie capacità artistiche.
"Avendo appena terminato un nuovo disco in cui credo molto, mi sento molto eccitato
all'idea di uscire a suonare queste canzoni davanti ad un pubblico. Ma stai pur
sicuro che tra un anno, non vedrò l'ora di ritornare nella tranquillità di uno
studio di registrazione. Fortunatamente abbiamo preso un ritmo di lavoro perfetto
che ci consente di fare concerti quando abbiamo voglia di farli e fare un disco
quando abbiamo voglia di tornare in studio.". Piena libertà quindi da
parte della casa discografica di muoversi con autonomia nell'organizzazione del
proprio lavoro, sia per quanto riguarda la registrazione sia per la promozione
dal vivo delle proprie creazioni. Non è da escludere che ci sia sicuramente del
materiale dal vivo inedito, ben custodito nei cassetti, e che nei prossimi tempi
possa anche essere pubblicato un disco postumo, che renda giustizia ai meriti
di questa folk-grunge band. "Buffalondom è stato solo un piccolo
regalo. Per essere sincero, si è trattato di un'iniziativa nata all'esterno della
band: avevamo numerose registrazioni tratte da concerti all'ICA di Londra, le
nostre prime date inglesi, e fummo invitati a pubblicarle. Accettammo.". Tre dei
brani di Buffalondon sono canzoni originali di Grant Lee Phillips e riprese da
Fuzzy. La quarta è una cover di Neil Young, For The Turnstiles,
presente nell'album On The Beach. "Turnstiles è un grande pezzo, la versione originale
è una glabra ballata di banjo, chitarra acustica e voce; con un suono non convenzionale,
sembra sia stata registrata in uno sgabuzzino o in un bar. La nostra versione
è diversa, più aggressiva ed arrabbiata, traduce alla lettera il senso delle liriche.".
Anche le altre canzoni, The Shining Hour,
Grace e America Snoring,
che trovano la loro giusta collocazione in Fuzzy, vivono di energia e distorsioni
selvagge intercalate a momenti lirici di grande intensità. |
Jubilee
[Slash, 1998] "Eravamo
incredibilmente inconsapevoli circa questo album. Noi stavamo provando ad andare
avanti, e se suona bene, è perché non poteva essere diverso. Noi volevamo che
la musica prendesse forma nello studio, e le canzoni veramente vennero tutte insieme
quando il registratore stava girando.". La novità di Jubilee rispetto
ai precedenti è la defezione del bassista e produttore Paul Kimble, a causa del
suo carattere piuttosto difficile. Illuminante a tal proposito la dichiarazione
di Phillips: " E' difficile dire cosa è andato storto con Paul. Di volta in volta,
mi sono trovato ad aspettare che la persona alla mia sinistra stesse per sfasciare
ogni cosa. Mi manca molto la volubile compassione che Paul possiede. L'ironia
è che Paul era sempre l'unico che stava cercando il lato più raffinato e bello
della musica. Non potevo quasi mai capirlo. Era abbastanza un'enigma, e lo è ancora.".
Kimble viene sostituito da Dan Rothchild, ex-Tonic, musicista preciso,
ma meno originale (parteciperà solo all'incisione del disco e poi, per i suoi
improrogabili impegni, verrà sostituito da Bill Bonk) e dal produttore
Paul Fox, che tra le sue credenziali annovera artisti quali XTC, 10000 Maniacs
e Robyn Hitchcock. Il suo entusiasmo e il generale senso pratico verso il pop
sono la giusta attitudine che i GLB stavano cercando. Jubilee è composto
da 14 pezzi ed è l'album più elettrico che i GLB abbiano mai fatto. Rispetto ai
primi dischi il suono delle chitarre è meno ruvido e le distorsioni sono ricavate
da chitarre elettriche e non da quelle acustiche. C'è un uso più accentuato del
falsetto nei ritornelli, sempre di grande presa. Jubilee è anche il loro album
più commerciale, perché le melodie, tutte molto belle e solari, e le sonorità,
meno sperimentali e ostiche rispetto al passato, sono un ottimo viatico per avvicinare
ai GLB chi ancora non li conosce. C'è meno melanconia e pessimismo nei testi,
si respira un'aria più serena e distaccata dai problemi e dalle contraddizioni
che l'autore scopre nella sua terra. Dovendo segnalare alcune canzoni, non si
può tralasciare Seconds, con un intro di
percussioni in cui poi si innestano gli altri strumenti e la voce. Truly,
Truly è una classica ballata dei Grant Lee Buffalo. Strofa accompagnata
dalla chitarra acustica e ritornello con il vigore delle elettriche. Proprio in
questa canzone si può facilmente notare la sterzata verso una musicalità più limpida
e ariosa, meno notturna e meno caratterizzata da una sensazione di forte intimità.
C'è più apertura verso il mondo esterno, verso gli stimoli che può dare. Non tutto
è cattivo fuori, ancora qualcosa si salva.
Fine How'd Ya Do si avvicina al suono degli Eels, amici di Grant Lee
Phillips. Inizia con il rumore di una puntina su un disco, poi sopraggiungono
gli strumenti, che impostano un attacco veloce e corposo, tipico dei GLB e una
voce filtrata, che esce più che mai convinta e carismatica. Il ritornello è esplosivo
e il finale caratterizzato da un piano, che ricorda molto un carillion. In Croked
Dice si sente l'influenza onnipresente di Neil Young, soprattutto nel
suono acido della chitarra e nell'esecuzione dell'assolo. Ricorda da molto vicino
soprattutto il passo sghembo e l'andamento pigro e dolente di alcune delle ballate
più riuscite del canadese. Le chitarre viaggiano all'unisono, regalando a tratti
intelligenti passaggi, la ritmica è pulsante, ma soprattutto il drumming è possente
e preciso, come non mai. Viene quasi da pensare che Peters non sia stato una figura
marginale nella nascita e nello sviluppo dei GLB, come si potrebbe immaginare,
anzi abbia dato un buon contributo per una certa concezione della struttura ritmica
dei brani. Dopo Jubilee, un po' sottovalutato
e a cui non viene dato uno spazio adeguato nelle riviste di settore, l'interesse
verso i Grant Lee Buffalo cala vertiginosamente sia da parte del pubblico che
degli addetti ai lavori, tanto che viene sciolto il contratto con la Slash. Nel
panorama musicale ci sono nuovi fermenti che attraggono l'attenzione e questa
band sembra non poter rispondere alle nuove esigenze. Il testamento dei Grant
Lee Buffalo? I loro dischi chiaramente, ma non si può non finire con le parole
di Phillips: "la cosa importante da capire è che l'arte non deve riguardare la
sofferenza. Qualche volta è l'arte che guarisce la tua sofferenza e ti fa sentire
meglio." | |