In
occasione dell'uscita di Real
Animal, nuova fatica discografica di Alejandro Escovedo
che lo vede ritornare ad un suono più elettrico, ripercorriamo
una carriera integerrima che ci ha regalato una delle voci più
convincenti del rock d'autore americano degli ultimi vent'anni
a cura di Nicola Gervasini
::
Il ritratto
Da
giovane mi sono molto divertito, ma non mi mancano quei giorni. L'altro giorno
Mick Rock mi ha detto "Sei troppo vecchio ormai per morire giovane" (Alejandro
Escovedo, 2008)
Probabilmente se Jim Morrison,
Jimi Hendrix o Janis Joplin fossero sopravvissuti alla loro vita da rockstar,
avrebbero passato il resto dei loro giorni a combattere contro i malanni dell'età
come i comuni mortali, invece di continuare a sfidare quotidianamente la morte.
L'immagine ben poco affascinante di una Janis intenta a farsi i lifting contro
le rughe o di un Jim con il mal di schiena avrebbe fatto inorridire anche il giovane
Alejandro Escovedo, ma oggi è proprio questo ex ribelle del rock a raccontarci
tutt'altra storia. Lui è uno che dopo le rabbiose pruderie giovanili, spavaldamente
sfogate in una pericolosa rebel-music-way-of-life, ha dovuto affrontare
l'orrore del proprio lento decadimento fisico e il dolore della malattia. La sua
è stata una vita costellata di eccessi e disgrazie, ma la sua odierna immagine
di rocker malato, tenacemente sempre on the road, cozza un po' con quell'ideale
da mitologia rock che ha ucciso Kurt Cobain professando il verbo dell' "it's better
to burn out, than to fade away", e che oggi sembra in crisi nel creare nuovi miti
altrettanto credibili nel farsi del male. Escovedo non sarà dunque il prossimo
martire del carrozzone dello show business, innanzitutto perché una rockstar che
si ammala non fa notizia quanto un bel suicidio da letteratura, secondariamente
perché se il successo dipende dal "physique du role", neanche il più scaltro degli
stilisti o dei marketing manager riuscirebbe a trasformare in una icona da poster
questo timido mulatto con la faccia pulita. Alejandro Escovedo nasce il 10
gennaio 1951 a San Antonio, in pieno Texas, settimo dei dodici figli di due emigranti
messicani, con un padre sempre impegnato a suonare nelle mariachi bands. Il fratello
Coke Escovedo fu lo storico batterista dei Santana, prima di morire tragicamente
nel 1986, quando venne sostituito nel ruolo dall'altro fratello Pete, la
cui figlia (giusto per chiudere il vorticoso cerchio famigliare) è Sheila E.,
la funambolica batterista dei Revolutions di Prince. Eppure quel battito primordiale
che pulsava nei cromosomi di famiglia Alejandro non lo sfogava battendo sui bidoni
dell'immondizia come i fratelli, ma straziando le sei corde di qualunque chitarra
gli capitasse a tiro, conquistato fin dalla tenera età dalla musica di tutte le
band pre-punk dei primi anni 70, Stooges in testa. La sua vita artistica inizia
nel 1976 come chitarrista dei Nuns, una delle prime punk-band di Los Angeles,
una sorta di "wild side" dei Velvet Underground (con la perversa Jennifer Miro
nel ruolo di Nico e Jeff Olener in quello di Lou Reed). La band non pubblicò LP
veri e propri, ma solo alcuni singoli dai titoli ben eloquenti come Decadent Jew,
Suicide Child o Child Molester, tutti co-firmati da Escovedo. Con un simile curriculum
da bad boy del rock, oltre ad un paio di reali tentativi di suicidio degni
di un vero artista maledetto (fortunatamente non andati a buon fine...), Escovedo
salì il secondo scalino della sua vita artistica incontrando i fratelli Chip e
Tony Kinman e formando con loro i Rank And File, un fondamentale punto
di incontro tra la musica rurale americana e il punk californiano. Ma non si fermò
qui: schiacciato dalla personalità dei talentuosi fratelli Kinman, lasciò presto
anche questa band e si trasferì ad Austin, dove con i True Believers segnò
un altro passo importante, la creazione dell'anello di congiunzione tra il cantautorato
tipico della città, il southern rock e ancora quella matrice di rumore e anarchia
sonora che comunque non abbandonerà mai del tutto. Ma l'ultimo scalino decisivo
Alejandro lo ha fatto da solo, nel 1992, inaugurando una carriera solista che
rappresenta uno dei più completi e personali melting pot di Texas, California
e New York, tre anime di tre americhe diverse, che si sono parlate per la prima
volta (senza insultarsi più di tanto…) nella sua musica. L'ultima svolta stilistica
non è stata però dettata da un urgenza creativa, quanto dall'ennesimo colpo di
sfortuna che lo ha colto nel 1999 sottoforma di una epatite C, una malattia che
Alejandro ha tentato di ignorare fino al 2003, quando l'arrivo della fase acuta
lo ha costretto a cure dolorose (e costosissime, ben oltre le possibilità di un
onesto rocker texano). La storia recente di Escovedo parla di album tributo di
colleghi e mille iniziative per racimolare soldi per salvarlo, ma parla anche
di un artista che non si è arreso e che con The Boxing Mirror del 2006 ha tradotto
la sua tragedia in un altro nuovo suono, un'altra avventura che quest'anno dovrebbe
fruttare un secondo capitolo che sa già sulla carta di Iggy Pop, David Bowie e
glam rock fin dalla produzione assegnata a Tony Visconti. Ma ovunque andrà la
sua arte, e finchè avrà le forze per farlo, Escovedo rimarrà sempre uno dei più
originali e del tutto inimitabili autori del nostro tempo, e forse proprio l'irriproducibilità
del suo canto e del suo stile di scrittura ha fatto di lui solo un buon esempio,
ma mai un vero e proprio modello per le nuove leve della canzone americana, una
sorta di padre senza figli che è ancora alla ricerca di qualcuno a cui lasciare
di diritto una cospicua eredità artistica. Singolare dunque che l'illustre rivista
No Depression abbia consacrato lui come "Artist of The Decade" degli
anni 90, e non, ad esempio, gli Uncle Tupelo, padrini onorari della testata, e
citati come modello e fonte di ispirazione da più parti. Simili titoli nobiliari
nel rock hanno sempre contato poco, ma nel caso di Escovedo, che non vanta vendite
degne di finire sui rotocalchi, ha rappresentato l'unico riconoscimento per un
carriera con ancora nessuna macchia da lavare.
:: Il capolavoro
Gravity [Watermelon
1992]
1. Paradise //2. Broken
Bottle //3. One More Time // 4. By Eleven //5. Bury Me //6. Five Hearts Breaking
//7. Oxford //8. Last To Know //9. She Doesn't Live Here Anymore //10. Pyramid
Of Tears //11. Gravity/Falling Down Again
Probabilmente se fosse stato il primo disco di un vero
esordiente, avrebbe subito suscitato il canonico coro di saluto al nuovo genio
di stagione da parte di tutti, ma Gravity era solo il disco che
non ti aspetti dalla persona che non ti aspetti. Nel 1992 Escovedo era un ricordo
di pochi, un eroe mancato che tale sarebbe potuto rimanere se nei bar di Austin
il nostro non avesse incontrato il chitarrista Turner Stephen Bruton, l'uomo che
trovò alle canzoni del ragazzo il suono e i musicisti giusti. I brani nascevano
dalla tremenda esperienza della morte della moglie nel 1990 (raccontata con struggimento
al limite del sostenibile in She Doesn't Live Here Anymore),
quindi intrise di una devastante tristezza, evidente fin dai primi versi di Paradise
("Hai preso l'invito? Ci sarà una pubblica impiccagione, e i corpi oscilleranno
l'uno contro l'altro…"), che aprono in maniera ben poco accomodante il disco.
Un pessimismo totale che veniva riconfermato subito nella splendida ballata Broken
Bottle o nelle attese tradite di By Eleven,
mentre Bury Me stendeva un testamento personale
tarato sulle diverse possibili date della propria morte, un testo che non concede
davvero nulla ai concetti di salvezza e redenzione, e dove la vita eterna negli
ultimi versi viene vista come un posto dove "troverò me stesso ma sarà sempre
freddo dentro". La via di uscita, se esiste, la si può trovare solo nelle
rassicuranti parole di Hope ("speranza"), la protagonista dell'epica Five
Hearts Breaking, che tenendo le mani di un uomo distrutto, gli sussurra
"believe, everything will be alright". Nella malinconica
Last To Know Escovedo ironizza anche sulla vita da artista squattrinato
con lo slogan "more miles than money" che darà anche il titolo al suo album live
qualche anno dopo. La visione nera dell'esistenza trova la sua apoteosi nei sette
minuti finali di Gravity/Falling Down Again,
elenco degli inutili tentativi di un innamorato di farsi notare da una donna che
invece ne straccia le lettere d'amore e, come se non bastasse, si getta alle spalle
i pezzetti come gesto scaramantico per evitare la scalogna di cui l'uomo sarebbe
portatore. Con questa insostenibile immagine di completo rifiuto e totale annichilimento
umano si chiude un album nero fin dalla foto di copertina, in cui Alejandro sembra
proprio vicino a prorompere in un pianto liberatorio. Ma a liberarlo sarà la musica
di Gravity, un mix emozionante di musica texana, roots-rock anni
80, rock and roll da bar-band di Austin (evidente nelle travolgenti One
More Time e Oxford), il tutto filtrato
da uno stile vocale unico e senza riferimenti precisi, forse il vero capolavoro
di questo disco.
::
Dischi essenziali
Thirteen Years [Watermelon 1994]
Nel
1989, dopo aver sciolto i True Believers, e prima di passare un paio di anni di
inattività, Escovedo imbastì una vera propria orchestra con cui tentò (troppo
presto) di sperimentare l'utilizzo di strumenti classici su un tessuto musicale
roots-rock. L'idea, già ripresa in alcuni momenti di Gravity, trovò il suo completo
sviluppo nel secondo album Thirteen Years, sempre prodotto da Stephen
Bruton, ma registrato con l'ausilio di una sezione d'archi. Inutile dire che
quando uscì venne speso da più parti il paragone con The Lonesome Jubilee di John
Mellencamp, ma forse solo la straordinaria The End doveva
qualcosa ai violini del "piccolo bastardo". Il resto invece presentava un modo
davvero nuovo di arrangiare brani di pura Austin-music, con un continuo impasto
di archi ipnotici e mai mielosi, uniti al modo di cantare indolente e declamatorio
di Alejandro. Ne venne fuori un album difficile, a suo modo estremo nel presentare
una serie di brani emotivamente massacranti come Thirteen
Years, Way It Goes o Tell
Me Why, legati da intrecci di archi che certamente suonavano poco familiari
al pubblico rock. Non mancavano le variazioni sul tema, il chitarrista Charlie
Sexton aiutò Losing Your Touch e Mountain
Of Mud a ritrovare lo spirito della strada, mentre Helpless
sperimentava una strada jazzy che rimarrà comunque un caso isolato. L'album divise
parecchio la critica, tra chi lo riteneva un capolavoro di straordinaria emotività,
e chi invece ci vide uno snervante e autocompiaciuto crogiolarsi nel dolore. Thirteen
Years, nonostante i suoi difetti e la presenza di alcuni episodi insoluti del
suo songbook, rimane invece un disco seminale per la creazione di un sound unico,
una versione intimista e crepuscolare del nuovo rock rurale inventato da Mellencamp
qualche anno prima.
With These Hands [Rykodisc,
1996]
Il
sottotitolo del terzo disco sarebbe potuto essere tranquillamente "back home".
Esauriti gli esperimenti estremi di roots barocco di Thirteen Years, e raccontato
il raccontabile della sua anima a pezzi, Escovedo piazzò idealmente i microfoni
nella piazza di Austin e lasciò che la città cantasse per lui tutta la propria
poesia. Ne risultò quello che è indubbiamente il suo capolavoro stilistico, forse
meno importante di Gravity come scrittura, ma sicuramente più maturo e arrivato
come realizzazione. With These Hands chiudeva alla grande il trittico
di produzioni di Stephen Bruton, mischiando rock and roll da quarta pinta di birra
(Guilty) alle saghe familiari mariachi (Nickel
and a Spoon, nobilitata dalla partecipazione di Willie Nelson),
anarchie velvetiane (Tugboat) con cavalcate
da frontiera (With These Hands, con una orgia
di percussioni suonate dai fratelli, nipotina Sheila compresa), zoppicanti funky
rurali rallentati (Slip) con distorti blues
del sud (Little Bottles). Una conferma anche
i testi, sempre in bilico tra pessimismo emozionale (Sometimes),
rapporti amorosi incomunicanti (Pissed Off 2 am)
o immagini in pericoloso equilibrio tra il macabro e il poetico, come la bizzarra
richiesta di essere smembrato della propria vecchia pelle stanca per rivestirci
il corpo innocente di un bambino e vederla così riprendere vita (Tired
Skin). Solo Put Your Down apriva
il disco con una insolita dichiarazione di voglia di vita e di ottimismo, a giustificare
un disco dove per la prima volta le storie non erano tutte in prima persona, ma
emergeva la voglia di raccontare altri mondi e di fare semplicemente ottima musica.
Il tour che seguì l'album fu uno dei momenti più felici e alti della sua vita
artistica, ma la malasorte era di nuovo dietro l'angolo…
A Man Under the Influence [Bloodshot,
2001]
Il
quarto disco di Escovedo fu inevitabilmente il disco di assestamento, il viaggio
in quota dopo il decollo, ma non per questo fu meno determinante. Innanzitutto
la produzione non era più nelle mani di Bruton, ma dell' ex dB's e Golden Palominos
Chris Stamey, un veterano che operò sull'album un'opera di "de-texanizzazione",
in favore di un sound che faceva tesoro dell'esplosione dell'alt-country e che
(guardacaso) non era poi molto lontano da quello che il nuovo enfant-prodige Ryan
Adams andava proponendo in quell'anno con grande clamore. Alejandro era ormai
un autore di primo livello, e poteva anche permettersi di aprire un disco con
un estremo saluto come Wave senza scadere
nel patetico. I toni dell'album recuperavano il malinconico pessimismo di Gravity,
ma canzoni formalmente perfette come Rosalie
e soprattutto Rhapsody, con le loro perfette
impalcature country-rock, erano la miglior dichiarazione di sopraggiunta maturità.
Anche gli episodi più rock come Castanets,
un brano che i Rolling Stones devono essersi dimenticati di registrare, e la toccante
Velvet Guitar, brano che descrive le sue difficoltà
a suonare con le dita intorpidite dalla malattia, dimostravano come il tocco d'autore
ormai fosse evidente anche nel caso di strutture melodiche classiche e rodate,
apparentemente banali. I brani che sapevano di abbandono e solitudine, come As
I Fall o Follow You Down, continuavano
ad essere il momento centrale della sua opera, ma A Man Under The Influence
rimane forse il disco dove il senso di perdita delle proprie forze fisiche
meglio viene esorcizzato da una musica vibrante e per nulla ammorbante.
::
Il resto
The Boxing Mirror [Back Porch, 2006]
Se
il valore di un disco dipendesse dalla sua capacità di tradurre in suoni gli stati
d'animo di un artista, The Boxing Mirror sarebbe uno dei più grandi
capolavori della storia. Escovedo lo registra nel pieno delle sofferenze per una
malattia invalidante, e il risultato è un disco che trasuda tutto il dolore e
l'incomunicabilità di un uomo ferito. The Boxing Mirror abbandonò la provincia
e recuperò il suono urbano dei Velvet Underground fin dalla scelta di far produrre
il tutto a John Cale, tentando di tracciare un coraggioso trait d'union
tra tutte le anime della sua carriera, sovrapponendo archi alle chitarre punk,
atmosfere dark alle ariose romanze, brani tesi a strani esperimenti proto-pop
come Take Your Place. E' la sua opera più
drammaticamente confusionaria, per alcuni (tra i quali lo stesso Escovedo) il
suo capolavoro, per altri il suo errore incomprensibile, per noi un disco troppo
pregno di umori e significati per riuscire a scorrere nella giusta maniera, che
andava forse strizzato come una spugna e reso meno rococò nella sua maniacale
cura dei particolari. Anche se brani come Arizona
o Dear Head On The Wall, che aprono l'album
con grande convinzione, danno l'idea che possa solo trattarsi dell' inizio di
una nuova grande stagione…ma questa è una storia ancora da raccontare.
Buick MacKane The Pawn
Shop Years [Rykodisc,
1997]
Nel
1991 Escovedo incontra ad Austin il chitarrista Joe Eddy Hines, il bassista David
Fairchild e il batterista Glenn Benavides, e con loro forma il gruppo dei Buick
Mackane, band che prendeva il nome da un vecchio successo dei T-Rex di Marc
Bolan. L' intenzione era di sperimentare una nuova forma di roots-punk che molto
deve agli Stooges di Iggy Pop, ma l'inaspettato gradimento riscosso dal suo primo
album solista fece naufragare il tutto. Nel 1997 però, dovendo ancora un titolo
alla Rykodisc per chiudere il contratto prima di passare alla Bloodshot, Alejandro
recuperò i vecchi compagni e registrò The Pawn Shop Years, vale
a dire quello che sarebbe dovuto essere il loro primo album del 1992. Dalla già
ipotizzata scaletta originale venne sostituta solo la prevista cover dei T-Rex
(nel frattempo era già stata rifatta dai Guns N' Roses di The Spaghetti's Incident),
con quella Loose degli Stooges che Escovedo
proponeva già da tempo nei suoi concerti. Alcuni brani come The
End, Say Goodnight o Falling
Down Again, già pubblicati nei dischi di Alejandro, venivano riproposti
nella loro veste più selvaggia, insieme ad un pugno di canzoni scritte con la
band, con episodi anche notevoli come Big Shoe Head
o travolgenti punkish-song come Edith, Queen
Anne o Wandering Eye. La presenza
di un brano con un lungo titolo, la cui traduzione suona più o meno come "John
Conquest, tu hai abbastanza forfora sul tuo colletto da guarnire una cotoletta",
rende bene l'idea della voglia di recuperare lo spirito goliardico degli anni
di gioventù. La forza delle chitarre acide, mista alla presenza di un artista
maturo e ormai in grado di non far degenare la festa, fanno di The Pawn Shop Years
uno dei più godibili diversivi della carriera di Alejandro.
More Miles Than Money: Live 1994-1996
[Bloodshot, 1998] Bourbonitis
Blues [Bloodshot, 1999] By the Hand
of the Father [Texas Music Group
2002]
La
discografia di Escovedo è stata fino ad oggi molto lineare. A corollario dei cinque
album ufficiali, sono solo tre i progetti "a latere" che rappresentano inevitabilmente
il corpus only for fans dell'autore. Il live More Miles Than Money: Live
1994-1996 è per la verità un disco significativo per capire la straordinaria
resa on stage della formazione con archi portata in tour in quegli anni. Purtroppo
il documento è inevitabilmente monco per la decisione di fare un album singolo
di soli dieci brani, ma le versioni di I Wanna Be Your
Dog degli Stooges e di Street Hassle di
Lou Reed (in fondo il brano che più ha ispirato la creazione della sua orchestra)
valgono il prezzo del biglietto. Anche Bourbonitis Blues (1999)
rappresenta un po' un'occasione mancata: classica raccolta di inediti e b-sides,
il disco sembra essere troppo breve per non dare l'impressione che nel cassetto
ci fosse ancora parecchio materiale da rispolverare. Anche qui particolarmente
curiose le cover di Ian Hunter, Jeffrey Lee Pierce, e come al solito Velvet Underground
e John Cale. Più importante invece By the Hand of the Father (2002),
colonna sonora di uno spettacolo teatrale che è stato anche rappresentato nel
corso del 2000 con buon successo di critica. Composto di brani vecchi presentati
in nuova veste (con anche recuperi dell'epoca dei True Believers), e qualche nuovo
brano in puro stile tex-mex scritto appositamente per il progetto, l'opera rappresentava
la quasi autobiografica epopea di immigrati di una famiglia messicana in America,
a cavallo tra il diciannovesimo e ventesimo secolo. Disco di grande valore storico
e progetto molto sentito dall'autore, By The Hand Of The Father rappresenta anche
idealmente la conclusione del primo ciclo della carriera solista di Alejandro,
con un omaggio alle proprie radici che appariva terapeutico quanto doveroso, prima
di voltare pagina.
The Nuns Nuns (PoshBoy, 1980)
Rank & File Sundown (Slash,
1982)
The True Believers The True Believers
(EMI America 1986) Hard Road (Rykodisk
1994)
Il
percorso musicale di Escovedo prima del suo esordio del 1992 è rintracciabile
reperendo tre titoli. Per documentarsi sui Nuns bisognerebbe aver la fortuna
di trovare la raccolta di singoli The Nuns del 1980 (ristampa in cd uscita solo
nel 2005 ad opera della Get Back, piccola etichetta di solito specializzata in
vinili), ed è abbastanza facile immaginare lo stile "pre-punk inglese/post-Stooges/NewWave-like"
della band. Le "suorine", forti di una cantante in stile Debbie Harry dopo una
nottata di bagordi, lasciarono solo piccoli semi del grande albero del punk californiano,
scena che anticiparono senza comunque esserne pienamente protagoniste, causa le
mille vicissitudini dei propri componenti (solo più tardi iniziarono una regolare
produzione discografica che li vede oggi ancora attivi, ovviamente senza l'apporto
di Escovedo).
Importantissima invece l'avventura con i Rank & File
dei fratelli Chip e Tony Kinman (che provenivano a loro volta dai Dils, una hardcore-band
di Los Angeles). All'album Sundown viene generalmente attribuito
il merito di aver generato il "cowpunk", calderone terminologico con cui si etichettò
l'evidente interesse per le radici rurali di molti ex punk rocker in cerca di
nuovi approdi stilistici, o certe accelerazioni e asprezze di nuove roots-band
come i Jason & the Scorchers. Escovedo partecipò al progetto nelle vesti di chitarrista
e si calò davvero perfettamente nello spirito di ricerca di melodie da cowboy-song,
regolato da uno piglio punk che rimaneva tale solo sulla carta e negli intenti,
visto che il disco rimane un'opera seminale del roots-rock in senso classico,
e conserva davvero poco di tutta l'anarchia sonora degli anni 70. I Rank & File
rappresentarono però una palestra di stile fondamentale per Alejandro, che co-firmava
un solo brano, e offriva la propria voce per i cori, rimanendo comunque in disparte
in quella che era a tutti gli effetti una creatura che non gli apparteneva. Ma
anche l'essere dove stava succedendo qualcosa di veramente importante era già
un segnale importante.
Ultimo acquisto consigliato è quello di Hard
Road, cd edito nel 1994, che comprende il primo album dei True Believers
del 1986 unitamente al loro "lost-album", un secondo capitolo finanziato dalla
Emi e mai pubblicato dalla Sony, che nel frattempo aveva acquisito la storica
label inglese cambiandone radicalmente l'indirizzo artistico. I True Believers
erano un operazione fuori dal tempo, un combo che, forte dell'esempio della scena
del Paisley Undergound, integrò il revival del sixties-sound con dosi massicce
di rock sudista, evidente fin dalla struttura skynyrdiana a "wall of guitars",
con 3 chitarristi solisti che si alternavano alla voce (oltre a Jon Dee Graham
e Alejandro, si aggiungeva anche Javier, altro rampollo di casa Escovedo). I loro
concerti erano già pura mitologia locale quando la EMI li mise sotto contratto
e gli lasciò carta bianca per la registrazione del primo album. A produrlo venne
riesumato un dimenticato session-man degli anni 70, un Jim Dickinson che
cominciò proprio da qui una fortunata ed encomiabile carriera di produttore. Mito
vuole che la pre-produzione dell'album venne fatta sul taxi che accompagnò Dickinson
dall'aeroporto allo studio di registrazione, realtà vuole che True Believers rimanga
ancora oggi un godibile disco di roots-rock elettrico, con i pregi e i difetti
delle sonorità degli anni 80. Javier Escovedo vestiva ancora i panni di leader
ed era di fatto il firmatario di uno dei pezzi forti dell'album, quella So
Blue (About You) che Graham farà poi reincidere nel 1993 al Calvin
Russell di Dream of a Dog. Alejandro rimaneva ancora piuttosto nell'ombra, ma
riuscì comunque a far passare una delle sue prime significative composizioni (The
Rain Won't Help You When It's Over), e mise l'evidente zampino nella
decisione di rifare Train Round The Bend dei
suoi miti Velvet Underground. Notevole a posteriori anche il secondo disco, forte
di suoni meno attempati e di chitarre lasciate ancor più libere di sovrastare
il tutto. Un disco che, se pubblicato per tempo nel 1988, avrebbe evitato di dover
aspettare gli anni 90 per scoprire un "manico" come Jon Dee Graham, e, soprattutto,
un Alejandro già capace di anticipare i "suoi" tempi con un brano straordinario
come Outside Your Door.
::
Riepilogo (discografia)
The
Nuns Nuns (PoshBoy, 1980) - raccolta
di singoli Rank & File Sundown
(Slash, 1982)
8,5 The True Believers
The True Believers (EMI,America 1986)
8 Hard Road (Rykodisk 1994) - raccolta
del primo album più il secondo rimasto inedito
Buick Mackane The Pawn Shop Years
(Rykodisc, 1997)
7 Alejandro Escovedo
Gravity (Watermelon 1992)
9 Thirteen Years (Watermelon 1994)
8 The End/Losing Your Touch (Watermelon
1994) ep With These Hands (Rykodisc, 1996)
9 More Miles Than Money: Live 1994-1996
(Bloodshot, 1998)
7,5 Bourbonitis Blues (Bloodshot, 1999)
6,5 A Man Under the Influence (Bloodshot,
2001)
8,5 By the Hand of the Father (Texas
Music Group 2002)
7 The Boxing Mirror (Back Porch, 2006)
7