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Oliver Chaplin
Freak Out Folk: un "buon ritiro" psichedelico

- a cura di Fabio Cerbone -

Perfettamente inserita nel clima artistico della prima metà degli anni Settanta, eppure sensibilmente a lato rispetto ai grandi mutamenti dell’epoca, l’opera di Oliver Chaplin è una delle tante piccole sorprese che lo scavo paziente fra gli archivi dimenticati di quella stagione ha potuto offrire agli ascoltatori curiosi di oggi. L’ennesimo artista imperdibile e ingiustamente ignorato? Il disco capolavoro che avrebbe meritato ben altre sorti? Sappiamo quanto la ricerca “retromaniaca” di questi anni abbia spesso ingigantito il valore di album perduti, alimentando un vero e proprio mercato della memoria restituita, ma credetemi non è questo il caso, per un musicista di indiscutibile valore tecnico (ne è testimonianza ogni singola nota della sua chitarra, acustica ed elettrica a seconda del momento, spesso intrecciate insieme) e dalle idee così folli e beatamente fuori dai giochi da conservare ancora adesso i loro accenti di innocente avanguardia.

È un’etichetta catalana specializzata in “stramberie” come la Guerssen - guerssen.com - a ripescare dall’oblio la produzione di Chaplin, musicista inglese originario della contea del Suffolk che nel 1974 incide in una remota fattoria del Galles il suo esordio discografico, Standing Stone. Originariamente pubblicato in sole duecento copie, che circolano come messaggi da carbonari nell’ambiente musicale, spesso limitandosi a qualche conoscente, l’album è ristampato nel 2022 in un’edizione in vinile verde (già esaurita), oltre che in edizione standard (vinile nero) e cd, rimettendo in circolo il nome di Chaplin come singolare figura della scena folk rock britannica del tempo. Inciso su un registratore portatile Teac a quattro piste, grazie all’aiuto del fratello Chris (ingegnere del suono impiegato presso la BBC e con una breve esperienza di sessioni al fianco di Syd Barrett), Standing Stone sembra riassumere lo spirito dell’epoca con un’attitudine freak votata alla sperimentazione, filtrando suoni, manipolando l’effettistica sullo strumento, scovando ritmi rudimentali, arrangiando di fatto soltanto con le chitarre e qualche abbellimento di flauto e pianoforte.

Episodi in gran parte concepiti come brevi schizzi sulla tela sonora creata da Chaplin, anche se Cat and the Rat, Orbit Your Factory, Tok Tic si avventurano oltre la durata abituale, mettendo insieme un collage di solide fondamenta folk blues disturbate spesso e volentieri da soluzioni di acid rock e psichedelia, persino da embrionali intuizioni che richiamano l’eletronica e certe cadenze ritmiche del kraut rock. L’eco distante di maestri del brit folk come John Martyn o Bert Jansch si affianca così a personaggi più eccentrici come Roy Harper, “sabotati” però da quella giocosa pazzia hippie che Chaplin immette nella sua chitarra e che pare avere fatta propria la lezione di Syd Barrett, di Captain Beefheart e addirittura di Hendrix. Tutte suggestioni che servono come una mappa per collocare storicamente un artista in realtà poco catalogabile e inevitabilmente destinato a restare in ombra.

foto: © Guerssen  

Non è un caso che, soprattutto per scelta personale, Oliver Chaplin rifiuti alcune ghiotte occasioni (dalla BBC alla Virgin) che pure gli erano state offerte per uscire dall’anonimato, ritirandosi in quella vita agreste e alternativa che allora rappresentava il riflesso di una ricerca di se stessi, ingenua eppure integra nella sua timidezza d’animo. Ancora più prezioni dunque appaiono adesso i nuovi nastri recuperati dalla Guerssen, che completa il lavoro di riscoperta di Chaplin dando alle stampe nel 2023 il secondo capitolo intitolato Stone Unturned, altre tredici tracce incise in quel lontano 1974 nella campagna del Galles e mai pubblicate fino ad oggi. Se la qualità sonora di Standing Stone era tutto sommato sorprendente, vista la sua natura di registrazione domestica e indipendente, il nuovo Stone Unturned ne rappresenta una sorta di diapositiva a bassa fedeltà (ma per nulla raffazzonata, sia chiaro), una più spigolosa e disadorna radiografia del musicisita, che sembra accentuarne gli elementi di acid blues e gli stranianti effetti ottenuti raddoppiando chitarre e voci, come annuncia l’apertura incalzante di Clock Tick.

Qui lo spirito guida di Captain Beefheart appare più incombente che mai sull’ispirazione di Chaplin, come svelano gli stridori elettrici e le stratificazioni ritmiche (utilizzando spesso la voce) di Over There, o ancora di una Little Woman dalle vibrazioni quasi hard rock, per non tacere del blues cubista di Noise in the Night e Down to the Woods, quest’ultima una specie di Crossroads in versione da delirio psichedelico. E tuttavia, pur non possedendo le qualità ipnotiche della musica e la presenza un po’ sciamanica di Don Van Vliet, l’Oliver Chaplin che emerge dagli “scarti” di Stone Unturned ribadisce quella sua immagine da misticismo freak anni Settanta, lì dove composizioni e paesaggio, chitarre e natura del Galles risuonano in una specie di eccentrico territorio sonoro, particolarmente apprezzabile soprattutto nei passaggi di fattura acustica del disco, dai nastri manipolati di Tantalize al duello di Twin Guitars fino alla conclusione di una Mesmerizing Sound (definizione mai così calzante dell’intera opera di Chaplin) che nell’interpretazione ricorda un giovane Ian Anderson (Jethro Tull) in abiti da folksnger.

Incantata e aspra al tempo stesso, la musica che emerge da Standing Stone e Stone Unturned è figlia legittima di un approccio naïf e curioso che è appartenuto alla storia del rock e che in fondo un po’ rimpiangiamo di questi tempi.

Sulla rete: oliverchaplin.bandcamp.com

 

    

 


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