Jim Carroll
"Streetlight Serenade "

Se ne è andato, a 60 anni, il volto emaciato e il fisico consunto da una vita sul limite, fatta di poesia, rock e tragedia umana. Jim Carroll lo vogliamo ricordare però soprattutto come una grande fulminea meteora elettrica. Di solito gli sciacalli escono allo scoperto all'indomani delle morti: che almeno questa volta i suoi dischi vengano ristampati...

Per tutto l'inverno dell'85
ho passato i miei pomeriggi di fronte allo stereo
in camera di mio fratello
ad ascoltare Wicked Gravity di Jim Carroll
Mi muovevo al ritmo della musica
immaginando il modo in cui lui poteva muoversi
Mi muovevo al ritmo delle chitarre elettriche
Tutto quello che avrei voluto era essere lui
nell'attimo in cui canta
"Mi sento come il soffitto di una chiesa bombardata"
Credo che in quel periodo
la mia vita fosse tutta lì.


Massimo Volume, Inverno '85 (da Lungo I Bordi, 1995)

a cura di Gianfranco Callieri

 
:: Il ritratto
 

E' il cielo sopra il Jersey, è quando quel cielo scivola via dalla vista, è quando il fantasma di Teddy sta sul tetto col cuore che gli batte, e il miglior amico di Teddy è a due isolati est, e sta facendo venire l'ex-ragazza di Teddy, sapete vogliono ridere un po' della fiducia di Teddy, solo per dimostrare che è un coglione, io penso siano tutti feccia. E' la città che sguscia in una notte di sogni secchi, la città dove niente è vero, la gravità è fottuta e le persone - gli amici - muoiono a legioni come fossimo in guerra. E' la guerra. E' la nuova Amsterdam degli ebrei, degli irlandesi, degli italoamericani e della loro progenie che scappa dalla vita da macellai kosher da gestori di bar da quattro soldi senza speranza da poliziotti ammazzati sulla strada per abbracciare la fotografia e Arthur Rimbaud e l'arte e il rock che racconta la poesia sudicia di vicoli/marchette/aghi/pipe/metadone/colla. E' la città di Jody, Evangeline e Lorraine, dei ragazzi cattolici e delle nature morte di camere d'albergo sfasciate. Lenzuola immacolate di sperma e sangue. Jim entra nel campo da basket ai tempi del college.

I favolosi anni '60: James Dennis Carroll (01/08/1950) onora padre e madre irlandesi frequentando la prestigiosa Trinity School di New York. Jim combatte la propria guerra inseguendo il canestro - è un campione - squartandosi le vene delle braccia con tonnellate di eroina - è un campione - scrivendo furiosamente poesie che guardano a Baudelaire e ai beat e impressionano Warhol e Kerouac - è un campione - vendendo il culo e succhiando cazzi per nutrire la propria dipendenza - è un campione. Dal 1962 al 1967 New York City è il campo da basket / di guerra di Jim Carroll. And the traffic lights are separating me / From the nine million spirits I love. Organic Trains, la prima raccolta poetica, piomba sull'establishment letterario quando Jim ha 16 anni. Ted Berrigan, Jack Kerouac e William S. Burroughs apprezzano. The Basketball Diaries esce nel 1978. E' carne viva sbattuta sull'asfalto e viscere sanguinolente rovesciate sulla carta e un corpo di parole arterie suoni che geme e piange e salta per i tap-in più coreografici visti fino ad allora.

E' la guerra del soldato Carroll e il suo primo romanzo, l'adolescenza malinconica ed emerginata di Holden Caulfield fatta a pezzi in un fiotto di vitalismo, scintille rabbiose e migliaia di buchi, è la bucolica, ribelle giovinezza americana di Huckleberry Finn sbudellata in una galleria di orrori dove nell'abiezione nascono le speranze più vigorose, è la Dorothy della strada di mattoni gialli che cammina all'indietro e a gambe larghe, perché lo sfintere brucia, ma arriva ugualmente a destinazione. Hubert Selby Jr e Il Mago di Oz in un'unica soluzione. Amore e squallore. Ascesi e depravazione. Sussurri e grida. Altra prosa, meno urgenza: Forced Entries - The Downtown Diaries 1971/1973 ('87) sposta l'obiettivo dai '60 ai '70 di Ginsberg e Warhol, coi quali Jim stringe amicizia, della convivenza con Patti Smith e Robert Mapplethorpe, di una tossicodipendenza che riduce l'uomo (non l'artista) in uno stato pietoso. Ma il libro, sebbene interessante, appare meccanico, quasi risaputo nella sua orgia di celebrities dedite ad allegre gozzoviglie, comunque ben lontano dall'allucinata, tagliente fenomenologia di strada del predecessore. Letta oggi, quella NYC prima del flagello dell'Aids fa quasi tenerezza. La poesia, però, brucia ancora. Living At The Movies ('73) nasce nel momento in cui Jim si ritira in California per disintossicarsi.

Anni di solitudine e poesia in un capolavoro elegiaco di visioni, epifanie, ricordi e dolcezze struggenti. Gli anni delle prime canzoni, scritte con Allan Lanier dei Blue Oyster Cult, all'epoca compagno di Patti Smith. A San Diego millenovecentosettantotto proprio la sacerdotessa del rock'n'roll litiga con chi dovrebbe aprirle un concerto così annuncia, ehi, ecco a voi il tizio che mi ha insegnato a scrivere poesia. Jim blatera qualche rap ma bastano il carisma e i capelli biondi, gli zigomi appuntiti del tossicomane e l'apparenza oscena della pelle che si stacca dal corpo, la voce squillante e sopranistica che si fa gonfia fino al singhiozzo per fissarne il carisma irresistibile - last of the rock stars. Keith Richards approva e appena Jim raduna una band, pescando per lo più tra i musicisti della Bay Area, ecco pronto un contratto con la Atco. Jim, da musicista, mette insieme lo zolfo di Jim Morrison e le sinfonie drammatiche di Roy Orbison. Il rockabilly malato di Link Wray e il punk'n'roll depravato delle New York Dolls. Le canzoni di Bob Dylan e la grandeur metropolitana di Bruce Springsteen. Le zampate animalesche degli Stones e la teatralità pervertita del primo Elvis. Il rubinetto dei dischi si chiude presto - cinque anni circa di attività - ma basta e avanza. Qualcosa arriva, sporadico, inaspettato, negli anni '90. Un disco nuovo. Un ep. Collaborazioni con Rancid, Pearl Jam, John Cale. Apparizioni in tributi a Jack Kerouac e Don Covay. Raccolte di vecchie poesie. Dal 2000 in poi, il silenzio. Su internet gira qualche foto. Jim peserà... quanto? 45, 50 chili?

In un certo senso si può dire che Jim sia scomparso assieme alla sua New York, che non è quella del sindaco Rudolph Giuliani né quella di Michael Bloomberg, ma sopravvive, forse, soltanto nei fumetti di Daredevil scritti da Brian Michael Bendis. I suoi vecchi amici campano come si può: David Johansen e Syl Sylvain hanno rimesso in piedi le Bambole, Lydia Lunch continua a portare in giro spettacoli orrendi per centri sociali, Patti Smith (in coma da tempo) bofonchia sputacchi da Celentano. Mi piace pensare che Jim abbia staccato la spina nel momento in cui tutti hanno creduto che il requiem fasullo di Jay McInerney, e di tutte le braccia rubate all'agricoltura come lui, avesse davvero spento le luci di New York, che é città di luci ed elettricità verticale per eccellenza. Richard Kern, Willy DeVille, Dion, Del-Lords, Martin Scorsese, Ramones, Phil Spector, dove siete finiti? Non è Jim che ha perso la partita. E' il campo, che è diventato troppo stretto. L'undici settembre 2001 lo skyline di New York salta in aria. L'undici settembre 2009, il cuore ormai disattivato, un ragazzo cattolico di sessant'anni si accascia sulla scrivania. Jim è uscito dal campo da basket. e.

 
:: Il capolavoro
 

Catholic Boy
[Atco, 1980]

1. Wicked Gravity // 2. Three Sisters // 3. Day And Night // 4. Nothing Is True // 5. People Who Died // 6. City Drops Into The Night // 7. Crow // 8. It's Too Late // 9. I Want The Angel // 10. Catholic Boy

 

Una cascata di elettricità, chitarre, basso e batteria che partono affamati e rabbiosi: comincia così, con le note travolgenti di Wicked Gravity, quello che può essere considerato il più classico tra i dischi del punk americano dei '70 e, come già Darkness On The Edge Of Town di Bruce Springsteen, il più punk tra i dischi del rock americano classico dei '70. Dieci canzoni per altrettanti proiettili che si conficcano tra il fango e le stelle, tra l'incantesimo narrativo di un tagliente impianto folk-rock che guarda a Bob Dylan (non a caso qualcuno parla, con ragioni da vendere, di "un Subterranean Homesick Blues delle catacombe") e l'urgenza espressiva di un dinamismo punk'n'roll che strizza l'occhio all'impulsività villana dei Ramones. Catholic Boy, l'album d'esordio della Jim Carroll Band, dove accanto al poeta e romanziere di The Basketball Diaries sfilano il basso di Steve Linsley, il drumming di Wayne Woods e le sei corde di Terrell Winn e Brian Linsley, è un'istantanea bruciante e senza compromessi sulle notti al neon di una città che non dorme mai per sputare nevrosi e fallimenti, arte e ideali a ritmo ininterrotto. Il linguaggio è quello di un rock'n'roll crudo, essenziale e loureediano in cui l'allucinato vangelo della Patti Smith di Horses incontra il punk-rock senza fronzoli, ma con qualche nostalgia rispetto al r'n'r anni '50, dei Mink DeVille. Produce con la mano del veterano il padrone di casa Atco Earl McGrath, affiancato nel missaggio dei suoni da un Bob Clearmountain in prodigioso equilibrio tra rifferama punk e omaggi malinconici al rock'n'roll dei Little Richard, dei Johnny Burnette, dei Gene Vincent. I brani di Catholic Boy riflettono, senza filtro alcuno, la schizofrenia poetica dell'artista, capace di soffermarsi con tenerezza infinita sulle proprie origini newyorchesi (ascoltate Day And Night, rievocazione delle Ronnettes e di decine di gruppi femminili di trent'anni prima sconquassata in un ciclone di furia rockista) e subito dopo di farle a brandelli attraverso una micidiale centrifuga punkeggiante. Jim Carroll guarda le stelle con l'intensità degli angeli di desolazione di Jack Kerouac, ma la sua stairway to heaven parte inevitabilmente dai bassifondi dell'incredibile City Drops Into The Night (con il selvaggio ululare del sax di Bobby Keys), dal catalogo di psicosi di Three Sisters, dai cazzotti nello stomaco di una Wicked Gravity che rappresenta più o meno la quintessenza del rock di strada romantico e disperato. It's Too Late, dove impazzano le tastiere horror di Allan Lanier (BOC), pesta duro alla maniera dei Dictators, mentre il baccanale stonesiano di Nothing Is True demolisce ogni ipotesi di buone maniere in seno alla canzone d'autore. Impressionante l'elenco di caduti della furiosa People Who Died, che ricorda con collera ed affetto gli amici del musicista passati a miglior vita. La canzone finisce pure, incredibile a dirsi, nella colonna sonora del blockbuster E.T., peraltro un gran film, ma non temete, qui non c'è nulla di riconducibile al mainstream. Solo una concisa, arruffata, selvaggia serenata a New York City che resta impressa come un marchio di fuoco sulla storia del rock e del punk americano. Per chi lo ascolta la prima volta, una coltellata al cuore, per chi lo riprende in mano dopo anni, una pietra miliare di suono e scrittura che non ha perso un grammo della sua ruvida efficacia. Lo scatto di copertina porta la firma di Annie Leibovitz e dipinge una serenità familiare resa quasi irreale dal successivo intervento di colorazione e dai suoi cromatismi volutamente esagerati. L'unica famiglia di Jim Carroll sembra essere quella, addolorata e sconfitta, di chi nasce e vive nella giungla d'asfalto: "Quando entro in una chiesa i piedi delle statue sanguinano / Comprendo il destino dei miei nemici / Come Gesù Cristo nel giardino del Getsemani / Sono un ragazzo cattolico / Redento dal dolore / Non dalla gioia".

 
:: Dischi essenziali
 

Dry Dreams
[Atlantic, 1982]

Ancora una volta, la foto di copertina, opera della solita Leibovitz, compie il miracolo di riassumere tutte le suggestioni di un disco ancor più eclettico del suo predecessore. Dry Dreams sta tutto nell'immagine che lo introduce, l'istantanea pasoliniana di un letto (stanza d'albergo o vano privato non è dato sapere) appena tagliato, nella parte inferiore, dalla luce dell'alba che filtra da una fenditura non identificata. Il lenzuolo è raggrinzito, ma solo nella parte destra; il cuscino scavato dal peso di una nuca, ma di nuovo, da una parte soltanto. Dry Dreams è una nuova preghiera rock sulle solitudini e le sconfitte dei reietti newyorchesi, un disco che in molti preferiscono all'esordio in virtù di sonorità ancor più classiche e rockeggianti. Il team produttivo ed esecutivo di Catholic Boy risulta più o meno invariato: tuttavia, a concorrere nella composizione dell'ennesimo ritratto della disperazione delle backstreets dei 5 distretti, compaiono stavolta le percussioni di Sammy Figueroa (che evocano consapevolmente il Lou Reed di Coney Island Baby), la tromba di Randy Brecker (che elargisce scampoli di derelitta malinconia metropolitana) e la sei corde immensa di Lenny Kaye, chitarrista ufficiale della band di Patti Smith. E' di quest'ultimo il fiammeggiare di Telecaster che rende la conclusiva Still Life ("natura morta") una rock-song monumentale, capace di descrivere le interiora della città con tristezza e solennità ineguagliabili. In Dry Dreams la Jim Carroll Band, meno selvatica rispetto all'esordio, aggiunge un altro, indispensabile tassello all'epica urbana di David Johansen, Elliott Murphy e Willie Nile: il pianoforte (Tom Canning) diventa padrone della scena e il lirismo minimalista di Rooms o la seconda parte della lunga, straziata Lorraine si trasformano in pennellate elegiache sulla malinconia dei sobborghi degne del coevo Bruce Springsteen.

 

I Write Your Name
[Atlantic, 1984]

Ora che Lenny Kaye è diventato un membro effettivo del gruppo, la Jim Carroll Band non può esimersi dal confronto diretto con Lou Reed, uno dei referenti più riconoscibili della musica sin qui proposta. Ne esce una Sweet Jane secca e rockinrollista, forse l'episodio più scorbutico di un album altrimenti percorso da spastici fremiti new-wave, pieno di ottime canzoni eppure, a causa di certe concessioni di troppo al sound "gonfio" del periodo, invecchiato meno bene rispetto ad altre prove del titolare. Obiezione trascurabile, in ogni caso, di fronte alla bellezza di una scaletta che fa di I Write Your Name un altro capitolo cruciale nell'evoluzione del rock urbano degli anni '70. Tra una Dance The Night Away che strizza l'occhio al Tom Waits più romantico e da night-club, una (No More) Luxuries che vomita furore punk e una Low Rider succube d'inedite tentazioni power-pop, la vena rockista di Carroll trova modo di esaltarsi nel ceffone stonesiano di Freddy's Store (da qualche parte tra Keith Richards e i Pretenders) e nel pandemonio percussivo di Voices (parente stretta di Sympathy For The Devil). New York risplende, bella più che mai, nelle rock-ballads Hold Back The Dream e Black Romance, poesie grigie e affrante, popolate da fantasmi e outsiders che non smettono di sognare un futuro dove accada qualcosa che valga la pena d'esser ricordato.

 

:: Il resto
 

Dopo un lungo silenzio, nel 1991 esce Praying Mantis, che però è un disco contenente solo declamazioni spoken-word. Possiede comunque una sua musicalità (occhio ai rantoli con cui Carroll intona Tiny Tortures) e andrebbe ascoltato anche solo per l'interminabile, furibondo monologo The Loss Of American Innocence, dove la prima masturbazione adolescenziale del protagonista scorre in parallelo all'omicidio di JFK (!). Pools Of Mercury combina invece letture e selvagge canzoni r'n'r architettate in compagnia di una band di immigrati dall'est-europeo cattiva come poche: Eight Fragments For Kurt Cobain mastica versi indimenticabili, The Beast Within sputa un rockaccio furioso e punkettone che fa impallidire molti artisti con vent'anni di meno sulle spalle. Runaway EP è un cadeaux inaspettato che, accanto a una devastante rilettura dell'omonimo classico di Del Shannon, allinea un demo e tre pezzi dal vivo (con la fresca Falling Down Laughing che non sfigura di fronte ai capolavori del passato). Carroll appare in diversi album tributo: nell'omaggio a Jack Kerouac Kicks Joy Darkness (1997) legge Woman accompagnato da Lee Ranaldo dei Sonic Youth, in Home Alive - The Art Of Self Defense (1996), realizzato per sostenere un organizzazione no-profit di Seattle che offre assistenza legale alle donne maltrattate, legge Nightclubbing e nell'antologico Sound Bites From The Counter Culture (1990) affronta Guitar Voodoo. Altre poesie si ritrovano nei cinque album pubblicati dal gruppo Dial-a-poem Poets, coordinato da John Giorno, ma è tutta roba introvabile e, spesso, inascoltabile.

 
:: Riepilogo (discografia)



Catholic Boy (Atco, 1980) 9
Dry Dreams (Atlantic, 1982) 8.5
I Write Your Name (Atlantic, 1984) 7.5
Praying Mantis (Giant, 1991) 6.5
Pools Of Mercury (Polygram, 1998) 7
Runaway EP (Kill Rock Stars, 2000) 7.5



Post Scriptum
Tutti i libri di Jim Carrol citati in queste righe restano col titolo originale non per snobberia, bensì perchè per tradurre The Basketball Diaries in "Jim entra nel campo di basket" ci vuole una fantasia sadica non indifferente. L'ha comunque dimostrata l'editore Frassinelli, responsabile della citata traduzione e dell'altrettanto funambolica glossa "Jim ha cambiato strada" in luogo di Forced Entries. Almeno Fear Of Dreaming è rimasto tale e quale ("Paura di sognare"). In ogni caso, si tratta degli unici lavori dell'autore gratificati da una versione italiana e son tutti e tre fuori catalogo. Se voleste per caso orientarvi nel dedalo di pubblicazioni americane, tra antologie, "best of", ristampe ed edizioni uniche, il sito catholicboy.com esaurirà ogni vostro interesse.


This place where I have put you now,
It is a cursed season, an awkward
line, a flawed circle. A snake of fire
devouring what, tomorrow, it will itself become.

For Elizabeth (1991)

 



Jim Carroll Band "Sweet Jane" (PROMO VIDEO)

 


<Credits>