TRACKLIST: 1.
What Am I Doing Here? // 2. A Small Good Thing // 3. The Haunting Of A New York
Moon // 4. Blues For Buddy Bolden // 5. Hours Before Light // 6. Ruby // 7. Nowhere
At All // 8. I'll Die In Mine // 9. Think About You // 10. Tired Of Waiting //
11. Heart Like Yours // 12. Land Of Plenty
File Under:howlin'
at the moon
di
Fabio Cerbone
Vancouver non possiede esattamente il fascino
di un sabato notte al Tropicana motel di Los Angeles e forse neppure un bar newyorkese
dove scovare cani randagi all'ultimo bicchiere; non tira aria di voodoo e magie
nere come a New Orleans, mentre il confine canadese non racchiude certo i misteri
e i pericoli di quello messicano. Eppure basta un nome ridicolo e affascinante
al tempo stesso, Bocephus King, per attirare l'attenzione, per risvegliare
visioni da lupi mannari e spiriti inquieti, per suscitare immagini da romanzo
on the road: Bocephus come quello strambo personaggio inventato dal ventriloquo
Rod Brasfield alla Grand Ole Opry sul finire degli anni Quaranta, ma soprattutto
come il soprannome che Hank Williams diede al figlioletto Hank Jr. e da cui quest'ultimo
mai si separò nella vita; King invece come come qualsiasi bluesman
che si rispetti, giusto per ricordare l'altra metà, quella nera, dell'anima
di Jamie Perry.
E' il
suo vero nome e A Small Good Thing uno degli esordi (ci fu in verità
il tentativo di Joco Music, ripescato all'indomani del "relativo" successo
dell'album in questione, registrato in casa nel 1996) più spiritati che
la grande ondata di nuovi storyteller nord-americani regalò nella seconda
metà dei Novanta, quando ogni bugigattolo della provincia sembrava offrire
una storia, uno spunto, un personaggio in cerca d'autore. Country e blues evocati
nella buffa genesi di Bocephus King entrano di soppiatto nella musica di questo
ragazzone canadese, ma sono solo una parte del tutto, linguaggi piegati dalla
schiacciante personalità di un musicista che appare subito istrionico,
insofferente alle regole, fuori dagli schemi pur nel suo richiamare mille stimoli
del songwriting più classico. In lui convivono il crooning blues lascivo
del primo Tom Waits (l'hard boiled in piena regola narrato in Ruby,
i rintocchi dark di Think About You) e in
parte le follie del collega Chuck E Weiss, l'errare soul inquieto di Van Morrison,
i tramonti rosso fuoco del Bob Dylan di Desire (la stessa A
Small Good Thing, Heart Like Yours), i riti iniziatici del Dr.
John più sciamanico, la Lousiana creola e l'accento country disperato di
Hank Williams (Tired of Waiting, I'll Die
in Mine): A Small Good Thing è un'enciclopedia dell'America più
marginale, è la colonna sonora di un "medicine show" in periferia,
l'equivalente di un racconto di Hunter Thompson messo su spartito. Ballate che
ululano alla notte e un minuto dopo si crogiolano al crepuscolo del border messicano,
caratteri in perenne ricerca e movimento, storie di ordinaria follia e ricordi
dell'adolescenza, facce da gangster e aneddoti che mettono insieme personaggi
fittizi, omaggi ad oscuri jazzisti forse mai esistiti (Blues
for Buddy Bolden) e un buon numero di femme fatale.
In copertina
Bocephus King è agghindato con eleganza nei panni di un tirapiedi da night
club, richiamando la sua faccia da schiaffi e l'impertinenza di un autore insofferente
alle mode: pagherà a caro prezzo questa sua aria bohemienne e ribelle,
perchè nonostante un contratto di distribuzione internazionale con la neonata
e intraprendente New West, il suo nome finisce presto per essere cancellato dall'orizzonte
della grandi promesse dell'Americana. D'altronde in quei panni ci sta stretto
e manda tutti a farsi benedire, scegliendo il lato sbagliato della strada e l'attaccamento
a qualche vizio non troppo salutare. E' tutto già racchiuso nella "messinscena"
archiettata con i Rigalattos in A Small Good Thing: elementi chiave sono
il pianista Doug Fukisawa e il chitarrista Paul Rigby, ma la gang è ampliata
ad una decina e passa di nomi che allargano le maglie dell'orchestrina con una
girandola di percussioni, accordion, pedal steel, violini, ricamando una musica
colorata e tradizionalista, senza apparire mai veramente agganciata al treno della
semplice nostalgia: basterebbero i nove epici minuti di Hours
Before Light, preghiera per un condannato a morte, per distanziare
Bocephus King da qualsiasi recinto roots fine a se stesso. Sono in parte l'assaggio
di quella esplosione sonora che offriranno i suoi primi tour europei (anche in
Italia), vero e proprio disvelamento di una musica che si espande senza controllo
e freni inibitori, rock'n'roll romantico, notturno e con tratti da sciamano che
tenderà ad espandere le possibilità strumentali della band, tra
i poli opposti di un folk rock d'autore e quelli di un'american music dagli scorci
soul psichedelici, percorso che anche il successivo The Blue Sickness proverà
a riprodurre direttamente in studio.
Nel
frattempo A Small Good Thing fotografa un momento irripetibile dell'ispirazione
di Bocephus King, un bruciare intenso e naif, che dalla voce sopra le righe e
volutamente imperfetta alla fantasia degli arrangiamenti ci parla della capacità
dell'american dream (e della sua relativa colonna sonora) di trasformarsi
costantemente nel suo doppio rinnegato, romantico e perdente.