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Bocephus King
A Small Good Thing
[New West 1998]

TRACKLIST: 1. What Am I Doing Here? // 2. A Small Good Thing // 3. The Haunting Of A New York Moon // 4. Blues For Buddy Bolden // 5. Hours Before Light // 6. Ruby // 7. Nowhere At All // 8. I'll Die In Mine // 9. Think About You // 10. Tired Of Waiting // 11. Heart Like Yours // 12. Land Of Plenty

File Under: howlin' at the moon

di Fabio Cerbone

Vancouver non possiede esattamente il fascino di un sabato notte al Tropicana motel di Los Angeles e forse neppure un bar newyorkese dove scovare cani randagi all'ultimo bicchiere; non tira aria di voodoo e magie nere come a New Orleans, mentre il confine canadese non racchiude certo i misteri e i pericoli di quello messicano. Eppure basta un nome ridicolo e affascinante al tempo stesso, Bocephus King, per attirare l'attenzione, per risvegliare visioni da lupi mannari e spiriti inquieti, per suscitare immagini da romanzo on the road: Bocephus come quello strambo personaggio inventato dal ventriloquo Rod Brasfield alla Grand Ole Opry sul finire degli anni Quaranta, ma soprattutto come il soprannome che Hank Williams diede al figlioletto Hank Jr. e da cui quest'ultimo mai si separò nella vita; King invece come come qualsiasi bluesman che si rispetti, giusto per ricordare l'altra metà, quella nera, dell'anima di Jamie Perry.

E' il suo vero nome e A Small Good Thing uno degli esordi (ci fu in verità il tentativo di Joco Music, ripescato all'indomani del "relativo" successo dell'album in questione, registrato in casa nel 1996) più spiritati che la grande ondata di nuovi storyteller nord-americani regalò nella seconda metà dei Novanta, quando ogni bugigattolo della provincia sembrava offrire una storia, uno spunto, un personaggio in cerca d'autore. Country e blues evocati nella buffa genesi di Bocephus King entrano di soppiatto nella musica di questo ragazzone canadese, ma sono solo una parte del tutto, linguaggi piegati dalla schiacciante personalità di un musicista che appare subito istrionico, insofferente alle regole, fuori dagli schemi pur nel suo richiamare mille stimoli del songwriting più classico. In lui convivono il crooning blues lascivo del primo Tom Waits (l'hard boiled in piena regola narrato in Ruby, i rintocchi dark di Think About You) e in parte le follie del collega Chuck E Weiss, l'errare soul inquieto di Van Morrison, i tramonti rosso fuoco del Bob Dylan di Desire (la stessa A Small Good Thing, Heart Like Yours), i riti iniziatici del Dr. John più sciamanico, la Lousiana creola e l'accento country disperato di Hank Williams (Tired of Waiting, I'll Die in Mine): A Small Good Thing è un'enciclopedia dell'America più marginale, è la colonna sonora di un "medicine show" in periferia, l'equivalente di un racconto di Hunter Thompson messo su spartito. Ballate che ululano alla notte e un minuto dopo si crogiolano al crepuscolo del border messicano, caratteri in perenne ricerca e movimento, storie di ordinaria follia e ricordi dell'adolescenza, facce da gangster e aneddoti che mettono insieme personaggi fittizi, omaggi ad oscuri jazzisti forse mai esistiti (Blues for Buddy Bolden) e un buon numero di femme fatale.

In copertina Bocephus King è agghindato con eleganza nei panni di un tirapiedi da night club, richiamando la sua faccia da schiaffi e l'impertinenza di un autore insofferente alle mode: pagherà a caro prezzo questa sua aria bohemienne e ribelle, perchè nonostante un contratto di distribuzione internazionale con la neonata e intraprendente New West, il suo nome finisce presto per essere cancellato dall'orizzonte della grandi promesse dell'Americana. D'altronde in quei panni ci sta stretto e manda tutti a farsi benedire, scegliendo il lato sbagliato della strada e l'attaccamento a qualche vizio non troppo salutare. E' tutto già racchiuso nella "messinscena" archiettata con i Rigalattos in A Small Good Thing: elementi chiave sono il pianista Doug Fukisawa e il chitarrista Paul Rigby, ma la gang è ampliata ad una decina e passa di nomi che allargano le maglie dell'orchestrina con una girandola di percussioni, accordion, pedal steel, violini, ricamando una musica colorata e tradizionalista, senza apparire mai veramente agganciata al treno della semplice nostalgia: basterebbero i nove epici minuti di Hours Before Light, preghiera per un condannato a morte, per distanziare Bocephus King da qualsiasi recinto roots fine a se stesso. Sono in parte l'assaggio di quella esplosione sonora che offriranno i suoi primi tour europei (anche in Italia), vero e proprio disvelamento di una musica che si espande senza controllo e freni inibitori, rock'n'roll romantico, notturno e con tratti da sciamano che tenderà ad espandere le possibilità strumentali della band, tra i poli opposti di un folk rock d'autore e quelli di un'american music dagli scorci soul psichedelici, percorso che anche il successivo The Blue Sickness proverà a riprodurre direttamente in studio.

Nel frattempo A Small Good Thing fotografa un momento irripetibile dell'ispirazione di Bocephus King, un bruciare intenso e naif, che dalla voce sopra le righe e volutamente imperfetta alla fantasia degli arrangiamenti ci parla della capacità dell'american dream (e della sua relativa colonna sonora) di trasformarsi costantemente nel suo doppio rinnegato, romantico e perdente.




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