TRACKLIST:
1. (Argument with
David Rawlings concerning Morrissey) // 2. To Be Young (is to be sad, is to be
high) // 3. My Winding Wheel // 4. AMY // 5. Oh My Sweet Carolina // 6. Bartering
Lines // 7. Call Me On Your Way Back Home // 8. Damn, Sam (I love a woman that
rains) // 9. Come Pick Me Up // 10. To Be The One // 11. Why Do They Leave? //
12. Shakedown on 9th Street // 13. Don't Ask For The Water // 14. In My Time of
Need // 15. Sweet Lil Gal (23rd/1st)
File Under:
lonely hearts
di
Fabio Cerbone
Trascinato dalle sue stesse intemperanze in un
vortice di personale auto-distruzione umana e artistica, il 2000 sembra essere
un anno fatale per il futuro della carriera di Ryan Adams, un tempo "enfant
prodige" di quella strana alchimia tra rock'n'roll e radici che la critica aveva
battezzato alternative country. Reincarnazione per alcuni di Gram Parsons ai tempi
dell'Americana, per altri prosaicamente definito il Kurt Cobain del genere (mai
definizione fu più superficiale e fastidiosa...), Adams si trascina appresso la
breve parabola dei Whiskeytown, promessa che pare lasciare orfani tutti quelli
che avevano intravisto nel loro crudo country rock provinciale una delle espressioni
più schiette e trascinanti dell'ultima generazione, un misto di giovane rabbia
punk e splendida maturità roots che invece chiude il sipario con il capolavoro
Strangers Alamanac e l'irrisolto, dolce e decadente Pneumonia. Quest'ultimo lavoro
è inciso già nel 1999, grazie alla prima fruttuosa collaborazione con Ethan Johns,
mentre i pezzi della band si sfaldano cammin facendo e il solo Adams porta a termine
un disco dalla gestazione tormentata. Finirà nel tritacarne delle solite divisioni
e dei rimpasti fra etichette discografiche, vedendo la luce postumo due anni dopo,
quando lo stesso Ryan Adams ha sepolto l'avventura Whiskeytown relegandola nel
suo libro dei ricordi.
È in quella frazione di tempo, sballottato fra
la California e New York, e infine rintanatosi in uno studio di Nashville, che
matura il suo esordio solista. Disco Heartbreaker di una spietata
fragilità d'animo che rilancia improvvisamente le quotazioni dell'autore: è una
discesa a patti con un amore finito, la storia avuta con l'addetta stampa Amy
Lombardi, commentata di canzone in canzone tra malinconia, gelosie, ricatti e
redenzione finale. Scarno nella sua pura essenza country folk, dimostra l'attrazione
fatale di Adams per il cantautorato americano dalle zone buie e dalla terre desolate,
evocando una volta di più l'inquietudine country di Gram Parsons e Townes Van
Zandt. Ma dentro vi si possono rinvenire anche i resti del Bob Dylan di Blood
on the Tracks e del Paul Simon più introspettivo, nonchè di tutti gli sfortunati
folksinger che hanno scavato nella propria anima per lenire le ferite con la grazia
di una canzone. Adams si schernisce e rimbrotta, come sempre assumendo un atteggiamento
strafottente: negerà persino di apprezzare certa country music, ma al netto di
tutti i dispetti e le pose da ribelle, Heartbreaker è lì a dimostrare la sua diretta
discedenza da un irrequieto percorso musicale.
Folk rock di marca dylaniana
nella prima, deragliante apertura di To Be Young (is
to be sad, is to be high) introdotta da una esilarante discussione
con David Rawlings riguardo la figura di Morrisey (The Smiths), a più riprense
indicati dallo stesso Adams come una band essenziale nella sua fomazione, l'ascolto
di Heartbreaker fa pensare semmai ad un nuovo scompigliato troubadour sceso in
città. Arrangiamenti che spolpano le canzoni verso la tradizione folkie più rurale
in Bartering Lines, chitarre acustiche e delicatezze d'organo in My
Winding wheel, sospiri e silenzi in Call Me on Your Way Back Home
e To be the One, morbidi archi nell'eleganza di Amy, la disperazione
e la rivalsa di Come Pick Me Up, un atavico
senso di nostalgia che percorre Oh My Sweet Carolina,
piccolo capolavoro in forma di elegia country, cantata in coppia con la musa di
Parsons, Emmylou Harris.
Pubblicato senza clamori per la piccola
Bloodshot di Chicago, rifugio ideale dell'alternative country storico, l'album
sfonda le dimensioni del culto, soprattutto nel Regno Unito, e arriveràa
a superare abbondantemente negli anni le centomila copie, un successo ingestibile
per il mondo indipendente in cui prende quota. Ryan Adams, uscito con le ossa
rotte dalla gestione Geffen/ Universal con i Whiskeytown, rientrerà così dopo
poco tempo dalla finestra principale, con tutte le attenzioni e gli investimenti
che portarenno alla consacrazione di Gold. Nel frattempo Heartbreaker resta un
disperato grido di bellezza e onestà dopo il crollo delle illusioni della sua
vecchia rock'n'roll band. E non può che essere un disco asciutto e integerrrimo
nella forma e nella sostanza: sotto l'influenza e la partecipazione di musicisti
quali Gillian Welch e David Rawlings, arricchito da poche presenze di contorno
(le voci di Emmylou Harris e Kim Richey ad esempio), in buona parte sostenuto
strumentalmente dalla sola coppia Adams-Johns, Heartbreaker stacca
coraggiosamente la spina dal grezzo roots rock degli esordi, eccezion fatta forse
per il corrosivo rockabilly punk di Shakedown on 9th Street, mostrando
in larga parte il lato più privato ed emotivo del musicista. È la dimostrazione
di una sensibilità che nel tempo verrà spesso mascherata con atteggiamenti irritanti,
quasi l'autore provasse a ritrarsi, a confondere l'ascoltatore davanti alle sue
stesse debolezze. Tutto ciò si traduce in quindici confessioni che ancora oggi
appaiono la cosa più sincera registrata dal songwriter del North Carolina e naturalmente
un inevitabile snodo per qualsiasi nuovo talento che tenti di calcare la scena
Americana attuale.