Se
in Italia dite Say Zuzu è probabile che vi prendano per qualcuno
che straparla, e la cosa potrebbe non essere diversa se vi trovate in
un gruppo di musicofili e assidui lettori di riviste musicali che ricordano
i gloriosi anni 90 nominando REM, Sonic Youth o Black Crowes. Ma se
tra di loro c’è un vecchio abbonato alla rivista L’ultimo Buscadero
state certi che gli occhi gli si illumineranno, e la citazione al mensile
diretto da Paolo Carù in questo caso suona doverosa, perché gli stessi
Say Zuzu non hanno mai mancato di ringraziarlo per l’insolito e forse
insperato supporto che la rivista diede alla band.
Il gruppo veniva dal New Hampshire e si era formato nel 1992 in piena
passione per il revival country-rock risvegliato dagli Uncle Tupelo,
loro più evidente punto di riferimento stilistico, ma per imperscrutabili
scherzi del destino i loro album in studio, pubblicati tra il 1994 e
il 2002, in patria sono passati praticamente inosservati, vendendo quanto
basta per sopravvivere quasi solo in Europa, e in particolare, appunto,
nelle nostre lande, solitamente inospitali per il genere. Un’ingiustizia
palese, perché per quanto le loro produzioni fossero grezze e casalinghe
rispetto agli standard dell’epoca, vivevano in un’era in cui lo stile
suscitava l’interesse delle major, con band meno talentuose come Sister
Hazel o Matchbox Twenty che raggiungevano grandi vendite, e ancora oggi
non si trova un rapporto logico tra le poche copie distribuite dei loro
dischi più interessanti, come Take These Turns, e le oltre dieci
milioni di copie vendute dal pur valido Cracked Rear View degli
Hootie & The Blowfish nel 1994, band che in fondo si muoveva negli stessi
ambiti, verso lo stesso ipotetico pubblico.
Paradossalmente
qualcosa è cambiato in questo 2023, perché a sorpresa Jon Nolan e Cliff
Murphy hanno rimesso insieme la band con un comeback record (No
Time To Lose) che, se vi fate un giro nei siti specializzati americani,
scoprirete quanto abbia risvegliato le attenzioni di qualche appassionato
in più, che si è accorto di loro e di quanto forse sarebbe bene recuperarli.
In questo scenario esce questa riedizione di Every Mile,
ultimo capitolo della band del 2002 mestamente passato sotto silenzio,
indirizzata soprattutto ai nuovi cultori del vinile (edizione proposta
anche in cd), e chissà se davvero a nuovi fans, e la quale aggiunge
ai dodici pezzi originali un inedito uscito dalle stesse session (la
discreta The Boxing Song), più due demo acustiche dei due pezzi
forti del disco, e cioè Doldrums e Good Girl.
Non tantissimo, se già possedete il cd originale (all’epoca pubblicato
dalla specializzata label tedesca della Blue Rose), ma visto che sarete
in pochi a potervene fare vanto, è abbastanza per recuperare un disco
ancora oggi validissimo, che finiva esattamente là dove sono ripartiti
con il recente capitolo, e anche se non aveva nel suo menu i pezzi più
amati e rodati nei live della band , era comunque una nuova testimonianza
di vitalità di un gruppo, il quale pur non cambiando mai troppo la propria
formula musicale, ha sempre trovato nuove interessanti storie da raccontare
nel songrwriting di Nolan e Murphy, sicuramente più di qualità di quanto
ci si possa aspettare da produzioni così indipendenti. Insomma, non
riuniranno mai le oceaniche folle che accorrono ad un concerto della
Dave Matthews Band o dei Phish, ma un posticino seppur piccolo nella
storia della musica americana di quegli anni fecondi, a fatica, se lo
possono riconquistare anche loro.