Nel 1969 l'idea che potesse esistere un blues bianco era ancora tutta inglese.
Negli Stati Uniti si accolse con freddo interesse la rivoluzione del brit-blues
dei pionieri Alexis Korner e John Mayall con tutta la loro fucina di talenti,
e la segregazione razziale in campo musicale restava ancora evidente fin dal persistere
di classifiche di vendita separate per musica bianca e musica nera. Giusto per
rispettare i corsi e ricorsi storici, la rivoluzione partì ancora una volta dal
sud, da una parte a New Orleans con la nascita di una nuova generazione di chitarristi
(Tony Joe White in testa) impegnati ad aprire una via bianca della musica delle
paludi, dall'altra in Texas. E' qui che nasce Johnny Winter ed è da qui
che nel 1969 con questo disco di esordio, innescò un meccanismo oggi oliatissimo.
Bastò ascoltare i quattro minuti e passa di quella I'm
Yours And I'm Hers che apre il disco per capire che le cose stavano
cambiando: c'era un vocalist rauco e grintoso che dialogava con una slide guitar
che riusciva per la prima volta a mettere d'accordo Elmore James con Jimi Hendrix,
c'era un mid-tempo tendente all'hard rock che sapeva molto di brit-blues (con
Jeff Beck e i Led Zeppelin nel motore) e ben poco di blues nero, ma con una linea
melodica che succhiava sangue a decenni di musica rurale nera del sud.
L'influenza degli Experience di Hendrix era evidente anche nella scelta della
formazione , un trio con Winter assoluto protagonista e una sezione ritmica martellante
impersonata da Tommy Shannon al basso e "Uncle" John Turner alla
batteria, uno schema che rimarrà una regola fino ai giorni nostri e che troverà
in Stevie Ray Vaughan l'adepto più illustre. Ma questo album tutto rappresenta
una specie di catalogo di tutte le possibilità stilistiche del nuovo blues del
Sud: il secondo brano era una cover presa dal repertorio di BB King, una Be
Careful With A Fool rozza, strascicata e distorta che rappresenta una
delle migliori performance chitarristiche del nostro. Dallas
invece era un brano dello stesso Winter che definiva l'a-b-c dello slide-blues
in contemporanea con quanto Duane Allman stava facendo altrove…e il southern rock
cominciava ad essere dietro l'angolo anche in questi solchi.
Ma è con
il classico Mean Mistreater che si celebrava
il definitivo matrimonio tra bianchi e neri, in un bluesaccio lento impreziosito
dalla presenza di due icone del blues classico come Willie Dixon al basso
e Walter "Shakey" Horton all'armonica. Con Leland Mississippi
Blues (altro brano autografo) Johnny si spostava nel delta e s'inventava
un riff che servirà di ispirazione a molte band americane che passeranno dal blues
prima di approdare al rock roccioso delle radio FM degli anni 70. Ma le sorprese
non finivano: una canzone strafatta e rifatta come Good
Morning Little School Girl di Sonny Boy Williamson trovava qui la sua
versione definitiva: una batteria pulsante che sapeva di soul e ben poco di blues
introduceva uno splendido dialogo tra fiati (con il fratello Edgar in session)
e chitarra, più o meno come se avessero messo Peter Green a suonare nella band
di Wilson Pickett. Il delta-blues acustico (con un dobro in evidenza) di When
You Got A Good Friend pagava il doveroso pegno al genio di Robert Johnson,
ma c'era ancora da esaltarsi con l'incredibile numero di I'll
Drown My Tears, vale a dire Ray Charles coperto dalla polvere del Texas,
una splendida ballata rhythm & blues con una prova vocale insolitamente emozionata.
Un momento altissimo che prelude alla più convenzionale chiusura di Back
Door Friend, un blues che vede Johnny impegnato a duettare con sé stesso
con chitarra e armonica.
Splendido come al solito il packaging di questa
riedizione della Repertoire, una serie capace di dare la giusta cornice
ai classici, poche invece le sorprese in fatto di bonus track (le versioni mono
di I'm Your And I'm Hers e I'll
Drown My Tears uscite su singolo), ma d'altronde le mille sessions
fatte da Winter tra il 1968 e il 1969 sono già state ampiamente documentate dall'album
The Progressive Blues Experiment che uscì nello stesso anno sull'onda del successo
di critica e pubblico di questo disco. Ma quest'opera prima rimane lo stampo su
cui si è modellato tutto il blues texano degli ultimi 40 anni, e anche se i suoi
dischi successivi, con le aperture al funky e al rock di marca Rolling Stones,
rimangono i più accessibili al grande pubblico, probabilmente rimane questo il
suo titolo più importante. A giusta chiusura la presentazione scritta dal manager
Steve Paul nelle note di copertina originali: "La musica di Winter è
basilarmente blues. Coloratela di nero. Ma nero, nero, nero. Johnny Winter invece
è bianco. Ma bianco bianco bianco." Il risultato del mix fu tutt'altro che
grigio. (Nicola Gervasini)