Condividi
 

James Lee Burke
Bayou Country

- a cura di Marco Denti e Fabio Cerbone -

James Lee Burke
Gesù dell'uragano
e altre storie

[Jimenez, pp.192]

Anche se i paesaggi sono gli stessi, la Louisiana, New Orleans, il Sud degli Stati Uniti, siamo molto distanti dalla saga di Dave Robicheaux (e Clete Purcel). L’ambiente è comunque determinante già con Luce d’inverno, dove il protagonista “è giunto a credere che l’accettazione di un angolo oscuro nell’anima e il rifiuto di parlarne con gli altri siano la massima consolazione che un uomo possa ottenere, e per qualche strana ragione quel pensiero sembra dargli un po’ di pace”. Quella pausa esistenziale, favorita dal momento e dal territorio innevato, è turbata dall’arrivo di intrusi che spezzano un fragile equilibrio.

Una trama che si ritrova, in altre condizioni e con un diverso clima, ma con la stessa tensione, in La stagione del rimpianto, perché i racconti di Gesù dell’uragano sono agganciati tra loro da connessioni più o meno evidenti, come se avessero le stesse radici ma fossero cresciuti in modo indipendente. Succede con le disavventure della rock’n’roll band in La notte in cui Johnny Ace morì, con Elvis (ovvero il Greaser) e il colonnello Parker sullo sfondo, e per i jazzisti in Gesù dell’uragano, un racconto brevissimo che concentra tutte le brutture emerse con il disastro di Katrina, con New Orleans diventata ormai un ricordo: “Ecco com’era all’epoca. Ti svegliavi al mattino con il profumo delle gardenie, l’odore elettrico del tram, del caffè di cicoria e delle pietre ricoperte di licheni verdi. La luce era sempre filtrata dagli alberi, quindi non era mai pesante, e i fiori sbocciavano tutto l’anno. New Orleans era una poesia, amici miei, una melodia nel cuore che non finiva mai”. Nei cupi giorni dell’uragano, con l’acqua putrida arrivata alla gola, Chuck e Miles tornano a pensare al collega musicista Tony, ormai lontano, con un solo rimpianto: “Nessuno si è degnato di spiegare perché nessuno è venuto a prenderci”.

Non sono gli unici alla deriva, che è cominciata almeno mezzo secolo prima, così come si intravede nella vita (durissima) dei personaggi di Gente d’acqua, quasi un’introduzione a Texas City, 1947, una storia straziante, ma a suo modo un capolavoro nel mostrare i tratti della disperazione, se non oltre. Subito dopo Foschia, nel seguire Lisa e Tookie lungo le tortuose dipendenze (alcol e eroina) aggiunge all’elenco dei loser convenuti, reduci e veterani dalla seconda guerra mondiale all’Iraq, una famiglia allargata (e numerosissima) con un bagaglio troppo pesante da condividere. La loro presenza dipende dalla naturale spontaneità di James Lee Burke ad annodare gli eventi storici alla fiction. Si nota nella filigrana nell’essenza di Il molestatore: l’intrico tra boxe, mafia, e un parco cittadino, è lo scenario dei principali snodi dell’infanzia e dell’adolescenza dove, infine, bisogna “affrontare forze che certe volte sono semplicemente troppo grandi per noi”.

Il racconto inizia il trittico dedicato a Nick e Charlie: i due ragazzi saranno protagonisti anche in Il rogo della bandiera e, nello contro con il coetaneo Vernon Dunlop, misureranno la distanza dal mondo degli adulti e, di nuovo, in Perché Bugsy Siegel era amico mio. La coppia di giovani amici si ritrova nella cornice di un’America che non c’è più: quella dei lampioni agli angoli delle strade, dei giorni e delle notti che ruotavano dentro i confini di “un quartiere dove ogni alba si infrangeva all’orizzonte come una testimonianza della disfatta personale”. Il paradosso sottinteso (ma neanche tanto) da Perché Bugsy Siegel era amico mio è che soltanto con l’appoggio di un fuorilegge può arrivare un atto di giustizia, ma sono Nick e Charlie, proprio come novelli Dave Robicheaux e Clete Purcel, ad allungare un filo di speranza in un’America spietata, desolata, abbandonata a se stessa.

(Marco Denti)


    

Bibliografia James Lee Burke, dal blog di BooksHighway

:: L’angelo in fiamme [Baldini&Castoldi]

:: Prima che l’uragano arrivi [Meridiano Zero]

:: La ballata di Jolie Blon [Meridiano Zero]

:: Creole Belle [UnoRosso]

:: Ti ricordi di Ira Durbin [Meridiano Zero]

:: Il prezzo della vergogna [Fanucci]

:: L’occhio del ciclone [Fanucci]


Il Gumbo di James Lee Burke
La colonna sonora di 'Gesù dell'uragano e altre storie'




Ambientati in parte nei paesaggi del Montana, dove lo scrittore vive da diversi anni, ma soprattutto fra gli acquitrini e il golfo della Louisiana, al centro la città ferita eppure amata da James Lee Burke, New Orleans, i racconti di Gesù dell’Uragano e altre storie riverberano naturalmente il suono del melting pot americano, una colonna sonora fatta di orchestrine jazz e big band, di accenti regionali cajun e zydeco, di country e blues d’epoca e di tanto rock’n’roll, un “sottofondo” a volte esplicito, altre solo richiamato dalle suggestioni dei personaggi e delle ambientrazioni. Facile dunque immaginarsi un’esplosione di note che dalla 'Big Easy' fino alla natura selvaggia dell’Ovest accompagnano il procedere di vicende che sembrano unite da chiari elementi autobiografici del Burke scrittore maturo (soprattutto nei due racconti Luce d’inverno e La stagione del rimpianto), ricordi dell’adolescenza, con un velo di nostalgia per un’America un po’ più libera e giovane (in particolare nel trittico che vede protagonisti i ragazzini Charlie e Nick), quello stesso paese che ha finito però per pagare a caro prezzo la sua incoscienza (la conclusione proprio con l’episodio intitolato Gesù dell’uragano, le ombre della guerra del Vietnam nel racconto più onirico, Il villaggio).

E proprio la forza distrittrice della natura (provocata) riemerge in più punti di questa antologia di short stories: James Lee Burke ci parla della Gente d’acqua, di piattaforme per l’estrazione petrolifera e di incidenti industriali (Texas City, 1947) che si scontrano con l’arrivo di calamità naturali, dall’uragano Audrey nel primo Dopoguerra al più recente Katrina (sullo sfondo di Foschia e al centro del citato Gesù dell’uragano), mentre noi immaginiamo la voce di Anders Osborne che intona il dolce lamento di Oh Katrina (dallo splendido Coming Down del 2007). Ma qualsiasi suo disco potrebbe sortire lo stesso effetto, quello cioè di ricondurci in quei luoghi, magari resuscitando la Louisiana speziata e tradizionale di Bury the Hatchet, il disco a quattro mani pubblicato da Osborne insieme a Big Chief Monk Boudreaux, grande capo indiano del mardi Gras di New Orleans.

Nella durezza della vita che emerge dalle storie di Gente d’acqua e Texas City, 1947 c’è anche (soprattutto) il suono bianco e nero, urbano e rurale che ha accompagnato gli anni appena precedenti la deflagrazione del rock’n’roll: le onde radio trasmettono lo spettacolo dal vivo del Louisiana Hayride, giù a Shreveport, Louisiana, mentre la voce di Hank Williams, insieme ai suoi Driftin’ Cowboys, sale sul palco e intona Jambalaya. Solo un passo più in là e potremmo sentire echeggiare anche gli Hackberry Ramblers con il valzer cajun di Jolie Blonde, oppure l’intera orchestra western swing di Bob Wills e dei suoi Texas Playboys che ci spronano a un altro passo di danza con Stay a Little Longer. È la musica che ci trascina nei primi anni dopo la Seconda Guerra Mondiale, ai racconti di amicizia, bullismo, violenza di strada, tra gangster e colpi di boxe che sono al centro della crescita di Charlie e Nick in Il molestatore, Il rogo della bandiera e Perché Bugsy Siegel era amico mio.

E qui si apre un mondo intero di colori e tradizioni, di festa e mistero, di groove ritmico e voodoo arcaico, per cui, dai grandi maestri jazz Louis Armstrong e Sidney Bechet al jump blues godereccio di Louis Prima e Sam Butera (ai quali, guarda caso, Burke lega la carriera dei due vecchi musicisti trascinati dalle acque in Gesù dell’uragano) si potrebbe arrivare direttamente al Gumbo di Dr. John, che al “suono della città” di New Orleans dedica quell’album capolavoro, fino alle evoluzioni dei Meters poi mutate nei Neville Brothers o nei Subdudes, magari passando nel mezzo con le radici creole di Clifton Chenier e Boozoo Chavis. Ma a questo punto faremmo prima a saccheggiare l’intero Doctors, Professors, Kings & Queens, lo splendido cofanetto pubblicato dalla Shout! Factory nel 2004, che ripercorre l’intero viaggio del Novecento di New Orleans e della sua infinita colonna sonora.

Ai due adolescenti Charlie e Nick, ne siamo sicuri, sarebbe piaciuta la direzione che avrebbe preso la musica del loro quartiere, di lì a qualche anno letteralmente travolta dall’eccitazione del rock’n’roll. La notte in cui Johnny Ace morì ne rappresenta l’apice, il racconto più sfacciatamente musicale che ci offre James Lee Burke, dove il fantasma di Elvis e il suono della Sun records circondano una storia on the road fatta di ribellione rockabilly e sogni infranti dietro le quinte, mentre il jukebox suona le romanticherie di Pledging My Love di Johnny Ace, la band cerca gli accordi di The Wild Side of Life di Hank Thompson e Lovesik Blues di Hank Williams e infine il pianista decide di attaccare i tasti con Swanee River Boogie di Albert Ammons.

D’altronde era impossibile dubitare del buon gusto musicale di James Lee Burke, uno scrittore che ha sempre posto molta attenzione al suono delle parole, agli accenti regionali, e il cui personaggio più famoso, il detective Dave Robicheaux protagonista di tanti romanzi, a noi adepti dell’american music è sembrato fin dal primo istante un parente lontano dell’omonimo Coco Robicheaux, chitarrista blues spiritato (e un po’ dimenticato, purtroppo) che a sua volta aveva preso in prestito quello psedonimo dai solchi di Gris Gris di Dr. John, in una catena infinita di leggende e arcani che soltanto a New Orleans possono accadere.

(Fabio Cerbone)


 


<Credits>