Condividi
 

Chuck Kinder
Family tradition

- a cura di Fabio Cerbone -

 
Chuck Kinder
Snakehunter

[Jimenez edizioni, pp. 256]

“So per esperienza personale che il passato è l’unica realtà veramente controllabile. Inoltre so per esperienza personale che ho delle responsabilità verso me stesso che iniziano con i miei ricordi”
(Chuck Kinder, 'Snakehunter')

Snakehunter è una barca leggendaria. Snakehunter è anche una tartaruga. Soprattutto è un segreto custodito fra il piccolo Speer Whitfield e suo nonno Clint, nei ricordi che affiorano dalla vita agreste nella West Virginia tra gli anni del dopoguerra e i primi Cinquanta. E proprio il ricordo, insieme alla distanza e al passato famigliare, che emergono tra giornate vivissime e descrizioni naturalistiche di potenza simbolica, sono al centro del romanzo di esordio di Chuck Kinder, scrittore dall’aura mitologica e dalla vita ingarbugliata che staziona più volte, defilato ma essenziale, tra alcuni degli snodi principali della letteratura americana del secondo Novecento.

Alla Jimenez edizioni - che già aveva dedicato a Kinder l’interessante memoir Domani è un posto enorme, durato dal traduttore Nicola Manuppelli - il plauso per avere ancora una volta dissepolto con cura un romanzo che inspiegabilmente restava inedito in Italia. Questo splendido debutto del 1973 pareva garantire allora una carriera fortunata e longeva per Chuck Kinder. Lunga lo sarebbe stata in qualche modo, fino alla scomparsa nel 2019 in Florida, dove si era stabilito nell’ultimo periodo della sua esistenza, ma un po’ più nascosta del previsto (soltanto quattro opere in tutto l’arco della sua vita), mentore e manovratore dietro le quinte, insegnante di scrittura creativa a Stanford e Pittsburgh che avrebbe influenzato schiere di “alunni” a venire (chiedete nel caso al Michael Chabon di Wonder Boys, libro e poi anche film), svelando anche le sue scorribande e amicizie con Raymond Carver (quel carteggio infinito divenuto infine Lune di Miele), Scott Turow, Richard Ford, Tobias Wolff…

Hippie e hillbilly, eversore della pagina e classico realista al tempo stesso, definitosi L’ultimo danzatore di montagna (libro imperdibile, se ne foste sprovvisti), il Kinder giovanile di Snakehunter è una rivelazione per la densità già compiuta delle pagine, uno strano, “sperimentale” romanzo di formazione che assume i contorni di un diario e procede zigzagando avanti e indietro nel tempo, portandoci ai giorni del 'Decoration Day' del 1950, all’infanzia perduta del protagonista bambino Speer Whitfield, di tanto in tanto però lanciandoci l'esca di continui flash a seguire, tratti dai suoi anni giovanili e ribelli, una sorta di vagabondo della Beat generation con atteggiamenti dissoluti, persino marchiati da una perversa malvagità e indifferenza. Ma il cuore di Snakehunter è in quella prima parte della vita di Speer, che si chiama come un padre che non ha mai conosciuto veramente, e che lo ha lasciato solo con una madre bellissima e una sorella, Cynthia, dal destino segnato dalla malattia. Crescerà insieme a loro in una famiglia allargata, nella casa di Kanawha street, a Century, nella West Virginia più rurale, con il nonno Clint, non esattamente uno stinco di santo, l’ortodossa e concreta zia Erica (“io dico che devi avere senso pratico per affrontare la vita”), l’amato e protettivo zio Charlie, e più di tutti l’adorata cugina Catherine, una “squilibrata” bibliotecaria con il vizio della bottiglia che gli insegnerà cose curiose sul mondo, la storia e i fossili.

E le improvvise digressioni di natura antropologica, con riferimenti alle usanze delle popolazioni dei nativi americani e non solo, che Kinder mette dentro i pensieri di Speer, sono una delle tante giravolte di questo diario americano collocato nel mezzo tra gli Appalachi e il South East: Snakehunter si trasforma così in una confessione in pubblico sul costante rapporto di Speer Whitfield con i fantasmi della morte, protagonista occulta di tutto il libro, e come quest’ultima viene letteralmente strappata dal continuo rievocare il passato a Century. In tal senso le pagine finali di Snakehunter sembrano arrivare come un atto inevitabile, a cui eravamo stati persino preparati, una sequenza che riannoda i fili della famiglia Whitfield, ma al tempo stesso non può non sconvolgere per il peso che immaginiamo deve avere avuto sulla maturità del piccolo Speer.

D’altronde Chuck Kinder ce lo aveva fatto intuire già nei capitoli precedenti, se solo gli avessimo dato ascolto, quando il proiettarsi fuori dall’infanzia del protagonista pareva riportarlo sempre alla sconclusionata sorte dei suoi affetti più cari, semplicemente perché “quando ricordavi intensamente con tutto te stesso, riportavi indietro le creature della morte”.


    


 


<Credits>