Inaugurato da Ernest Hemingway, quell'albero genealogico
di sognatori e ribelli vigorosi, voraci, combattivi ed eccessivi, ha
trovato in Jim Harrison uno degli ultimi pronipoti, forse il
più importante. Un modo coraggioso di legare i destini della vita e
della letteratura: un lettore insaziabile, un grande outsider che ha
avuto i suoi anni selvaggi (compresa la fortuna di vedere per due volte
Jack Kerouac al Five Spot), un amante del vino, della birra e del whiskey,
un appassionato rock'n'roll heart (a partire dalla sua dedizione ai
citatissimi Grateful Dead). Un guerriero della parola originale, ruvido
(e divertente) nello stile e raffinato nella costruzione delle trame
e del pensiero. Come lo stesso Jim Harrison ricordava nell'introduzione
del suo memoir, Off To The Side, Gary Snyder scriveva in Nel
mondo selvaggio che la "relativa similitudine delle nostre biografie"
(con un accento tutto da verificare su quella relatività) rimane in
contrasto con l'unicità dei nostri sogni. Prendendo spunto da quell'affermazione,
Jim Harrison ha detto, di conseguenza: "Forse l'idea dell'unicità delle
nostre visioni e dei nostri sogni è un tantino antiquata. Ossessione
è più contemporanea, volendo". La sua collimava con l'ideale di scrittore:
"Io avevo in tutto e per tutto un'idea eroica del romanziere. Volevo
essere uno scrittore nel vecchio senso di starmene ai margini". Un ritratto
singolare, che si è riflesso nella sua vita perché "siamo soltanto l'ombra
della nostra immaginazione" e del resto nella sua scrittura, che è sempre
passionale, intensa, volitiva.
La
fedeltà a questi tratti è stata una forma di coerenza che ha distinto l'uomo e
lo scrittore, che permea tutti i romanzi, ed è il suo restare avvinghiato alla
wilderness. Sasso, foglia, cavallo, lupo, animale selvatico o domestico possono
essere protagonisti allo stesso modo degli esseri umani e delle loro storie. Lo
si percepisce con forza: Jim Harrison li considera sullo stesso piano, alla pari.
Un rispetto espresso a ripetizione anche nei confronti della cultura nativa e
in più in generale dell'habitat americano. Anche se non c'è un luogo specifico
o immaginario che sia, come Holt, Colorado per Kent Haruf o il bayou per James
Lee Burke (giusto per dirne un paio, non molto lontani da Jim Harrison) il legame
con l'ambiente e con lo spirito dei luoghi è sempre fortissimo. Scriveva in Sunset
Limited: "La realtà è una questione di percezione e di riflessi, e dopo trenta
giorni si può dimenticare dove finisce la propria pelle e dove comincia il mondo
esterno". La natura l'ha vissuta anche come risposta ed elemento di conforto:
"Quando le cose vanno male oltre ogni possibile previsione, se cammino per quaranta
chilometri nella foresta, quelle cose tendono ad allontanarsi un po'".
In
questo il rapporto strettissimo con la wilderness, caccia e pesca comprese è l'elemento
comune a tutte le sue storie. Tra l'altro se si è convinto a scrivere un romanzo,
dopo anni di articoli, racconti e poesie, lo deve ancora alla natura perché è
per un incidente durante un'escursione che si è ritrovato immobilizzato. Thomas
McGuane, compagno di avventure, di sbronze, di caccia e di pesca, non fece altro
che suggerirgli di usare quel momento di reclusione forzata per provare a buttare
giù un romanzo. Arrivò Lupo
e cominciò una carriera costellata di fallimenti e depressioni, successi e riconoscimenti,
il delirio di alcol e cocaina seguito alla pubblicazione di Vento di passioni,
il cinema, un sacco di storie diverse che solo in parte sono riuscite a confluire
nei suoi romanzi. Ci sono leggende, epopee, la saga di Dalva
(che arriva fino a La
strada di casa) ed episodi singolari, come lo stesso Lupo o quel
reportage mascherato da romanzo in Luci
del nord, e più, di tuttiUn
buon giorno per morire, un caso a parte anche all'interno della specifica
singolarità della bibliografia di Jim Harrison. Tre sbandati partono con l'idea
di far saltare una diga che impedisce la risalita dei salmoni. Fine della trama,
poi comincia il delirio che troverà un seguito in I sabotatori di Edward
Abbey, e il cui elemento fondante (l'intervento umano sulla catena alimentare
animale) sarà ripreso in modo più evoluto e raffinato da T. C. Boyle in Gli
amici degli animali, uno dei romanzi più significativi degli ultimi anni.
Le dighe torneranno ancora in Luci
del nord, perché "ogni terra è configurata dal modo in cui scorrono le
acque", ma tutto Un buon giorno per morire, a partire dal suo scopo più intimo
e pericoloso, ruota attorno alla pesca. Sarà utile ricordarne la definizione di
Thomas McGuane in Il grande silenzio: "La pesca ti porta via moltissimo
tempo. La chiave per capirla è tutta lì. Ecco perché nel nostro mondo ultraveloce
i pescatori mettono in atto una sorta di attacco preventivo, e si autodefiniscono
perditempo, fanatici e pazzi. In realtà siamo gente quasi sempre tranquilla, ma
il nostro atteggiamento verso il tempo ci pone in conflitto con la società di
cui facciamo parte". In Un
buon giorno per morire, Jim Harrison, oltre al disastro ben pianificato
dallo scomposto triangolo di loser, allinea e collega le definizioni di musica
e di sogni perché come direbbe più in là, non ha avuto paura di confrontarsi con
"il mistero delle cose invisibili", come le chiama L'uomo dei sogni.
Tra queste l'ammissione che è sempre stata la musica a portarlo lontano,
con una distinzione che è utile ricordare ogni tanto: "Pensavo al falso potere
della musica, a quella specie di insano romanticismo a vicolo cieco che propone.
Se ascoltavi gli Stones ad alto volume abbastanza a lungo, invariabilmente finivi
per provare una certa simpatia per il diavolo. E se sentivi il duetto di Bob Dylan
e Johnny Cash volevi andare al nord per cercarti una ragazza a una fiera di paese.
La preferita di Tim, che io avevo già cominciato a odiare, era Get It While You
Can della Joplin, un'espressione di disperazione pura che sembrava ineguagliata
negli annali della musica moderna. Milioni di persone ascoltano queste canzoni
e a meno che siano totalmente insensibili non possono non sentirne l'effetto.
E forse è un bene. Che cosa aveva combinato la generazione precedente con i vari
Perry Como, Andy Williams e Rosemary Clooney? Ma a volte sembrava che la passione
fosse eccessiva e la musica la traslitterasse con tanta esattezza che non si poteva
far altro che convincersi. Merle Haggard mi faceva venire sempre voglia di ubriacarmi.
I Cream o gli Who o i Grateful Dead mi facevano venire voglia di farmi, mentre
con Dolly Parton volevo sempre essere innamorato. June Carter sembrava chiamarti
con un cenno direttamente da Jackson, Mississippi e Patsy Cline da Nashville.
Non c'è da stupirsi se tanta gente preferisce delle innocue canzonette".
D'altro
canto, e in una corsia parallela, Un buon giorno per morire ricorda che
i sogni servono "per darci almeno l'illusione di una partenza nuova. Avevamo bisogno
di sogni in cui incanalare tutte le bizzarrie del nostro cervello: se non sognassimo
per un certo periodo, diciamo per un anno, probabilmente usciremmo del tutto di
testa". L'assenza di sogni si ripercuote nelle storie quelle suoi eroi, gente
per cui il mondo sta correndo troppo in fretta, in condizioni che Philip Caulkins
in Beige Dolorosa, uno dei tre racconti di Julip,
riassume così: "Tutti noi speriamo in un tipo superiore di pazzia, ma le nostre
ferite sono assai meno interessanti dei nostri rimedi". Ricordiamo almeno Robert
Corvus Strang (Luci del nord), Nordstrom (L'uomo che rinunciò al suo nome), Brown
Dog (Brown Dog in Società tramonti e L'uomo da poco in Julip), nonché l'alter
ego Swanson (Lupo), l'inventore di un rimedio contro il raffreddore infallibile.
Eccolo qui, in tutto il suo splendore: "Prima un quarto di spremuta fresca di
pompelmo, poi mezzo gallone di acqua tiepida per depurare ulteriormente l'organismo.
Dopo due ore di riposo in una stanza, al buio, cuocere alla griglia una costata
bella grossa e mangiarla con le mani, senza sale. Dopodiché, con lo stomaco gonfio
e dilatato, fare un bagno in acqua caldissima, al buio, durante il quale sorseggiate
lentamente il miglior bourbon che possiate permettervi, almeno un quinto di gallone,
finché avrete scolato la bottiglia. Potreste metterci quattro ore, a seconda della
vostra capienza. Poi dormite ventiquattr'ore e quando vi sveglierete il mondo
sarà tutto nuovo e voi non avrete il raffreddore. Qualcuno, con il fisico un po'
debole, risentirà della sbronza, ma la colpa non è mia. Io non sono un dottore.
Andate dal vostro. Potete compiere l'intera operazione anche se non avete il raffreddore,
e sarà altrettanto piacevole. A volte aggiungo un Avana alla fase bagno, ma al
giorno d'oggi sono molto rari e difficili da trovare. Questa ricetta guarisce
anche la malinconia e fa di voi scopatori assatanati per diversi giorni".
In
un'intervista Jim Harrison aveva illustrato l'idea della cultura come del
"bollito misto" (in italiano nel testo), una definizione curiosa, ma tutt'altro
che riduttiva, per far capire che non vedeva distinzione tra cinema e musica,
prosa e poesia, gastronomia ed enologia, leggende, usi e costumi e una costruzione
romantica, mai smentita, delle storie e dei personaggi attraverso una scrittura
pulsante, immediata. Una vitalità che traspare anche dalla collocazione delle
figure femminili, sempre centrali, il più delle volte protagoniste assolute (Dalva,
ma anche Julip), dalla varietà dei periodi storici, dalle forme alle sfumature.
Una ricchezza di temi culminata con quello che si può considerare il suo testamento,
di sicuro, il suo lascito più importante, ovvero Ritorno
alla terra. E' stato l'ultimo, elegiaco capolavoro di dieci anni fa, una
sorta di commiato che attingeva il titolo di un suo "canto della pianura", all'inizio
di tutto e poi fino alla fine quando Jim Harrison confessava: "L'idea di scrivere
una buona poesia, un buon romanzo, persino un buon film hanno divorato la mia
vita". Non ha opposto resistenza e si è prestato perché, come sapeva anche L'uomo
dei sogni, "la vita, in rare occasioni, può offrire qualcosa all'altezza dell'immaginazione".
:: The Jim Harrison Top Ten :: (là
dove possibile trovate il link alla recensione del libro presente nell'archivio
del blog di BooksHighway)