Barrence
Whitfield and The Savages Savage
Kings
[Munster 2011]
Riuscite a immaginare una torrida session di qualche sconosciuta garage band,
catalputata per caso nel bel mezzo degli studi della Stax, persa sulla strada
Memphis e il Mississippi? Grosso modo è l'effetto prodotto da una rasoiata come
(Your love is Like a) Ramblin' Rose, fra
chitarre che trasudano scintille hard blues e un canto sguaiato che mette insieme,
se fosse mai possibile, Wilson Pickett e Bon Scott. Barrence Whitfield è
il portavoce di un torrido r&b, mai preso troppo sul serio, che non si vergogna
di fare a pezzi una certa tradizione da "deep south", portando un poco
di sconquasso fra le mura dei Muscle Shoals e di tutta la leggendaria produzione
del soul sudista. La sua vocalità all'eccesso, capace di toccare le corde della
passione tipica del genere, ma spesso e volentieri abbandonata a latrati e urla
di un rocker particolarmente su di giri, è il collante di una band, The Saveges,
che parla la lingua di un rock'n'roll bianco e punk nei decibel, ma nero, nerissimo
nell'anima.
Per chi frequenta bassifondi e strade secondarie del genere,
conoscerà forse il nome di questo funanbolo di Boston, che proprio insieme al
chitarrista Peter Greenberg e al basso di Phil Lenker ha dato via all'avventura
dei Savages nei primi anni Ottanta. Un discreto successo fuori dai confini nazionali,
con tour in Inghilterra, un contratto per la Rounder e la stima di gente come
Costello e Robert Plant. I primi lavori diventano presto un culto, ma negli States
restano un fenomeno confinato al semplice revival, complice un repertorio che
insiste sulla rivisitazione dei classici, pur nella concezione "sgarbata" del
gruppo. Alcuni membri in seguito abbandonano la baracca, Whitfiled prosegue per
conto proprio e si inventa nuove formazioni, facendosi un nome grazie alle sue
esibizioni incendiarie e quella irriverenza da stregone nero che viene ribadita
anche sulla copertina del nuovo Savage Kings. È il disco del ritorno,
una reunion che mette insieme i membri fondatori Greenberg e Lenker e si completa
con James Cole alle tastiere, Andy Jody alla batteria e Tom Quartulli al sax,
portando nuova linfa alla formula dei Savages. I quali si danno da fare con i
brani originali, pescano qualche azzeccato classico minore (fantastica You
Told a Lie di Howard Tate) e confermano di essere una autentica party
band, con una carica assassina e un tasso di elettricità da risuscitare anche
i morti.
Nella prima parte si affollano le cover, poco note: Just
Move In è un rock'n'roll che esalta le radici rockabilly di Greenberg
alla chitarra, mentre la band corre a rotta di collo, It's
Mighty Crazy è più provocante e sporcata di boogie e di You Told
a Lie si è già detto, ballata soul che Whitfield straccia e tortura a piacimento
con il suo screaming forsennato. Con Willie Meehan
partono gli episodi composti in casa e l'indice rock sale fino all'ebollizione:
l'intreccio di garage e pulsioni r&b garantite dai fiati prende al gancio e non
molla la presa un solo istante. Prendere o lasciare: Savage Kings sono trentatrè
minuti sparati a razzo e senza troppi complimenti, tra l'incalzante rock blues
di Who's Gonna Rock My Baby e le trame garage
sixties di Stop Tryin' To Break Me down, le
esplosioni strumentali di 64W MM232, la festa
danzante di Barefoot Susie e il classico finale
tormentato e ricco di pathos di Bad Girl.
In tempi di vacche magre per energia, chitarre e radici black Barrence Whitfield
and the Savages vanno a rimpolpare l'ottima compagnia creata da Black Joe Lewis
e pochi altri reietti. (Fabio Cerbone)