Il nome di Ian Siegal è ormai meritatamente diffuso e conosciuto
nel circuito contemporaneo del british blues. Lunga la strada percorsa,
come di consueto, molti i concerti e tanto il whiskey bevuto, Ian è stato
prima coinvolto nel vivace giro londinese di Lee Sankey (di Siegal la
voce nel bel disco Tell me There's a Sun del 2003), Paul Lamb e Eugene
"Hideaway" Bridges, poi da solista ha piazzato un'interessante produzione
di validi album. A partire dagli inizi degli anni novanta con il primo
album Picture Postcards Ian Siegal ha spiritualmente cercato nel blues
un suono e uno stile personale, passando dal "waitziano" Standing
in the morning (2004), per arrivare ai più recenti e applauditi Meat
& potatoes (2005) e Swagger (2007), registrati per la Nugene
Records, ai auqli si è aggiunto proprio in queste settimane il
nuovissimo Broadside, già salutato dal plauso della stampa
inglese.
The Dust può essere considerato l'album della maturità,
la prova del nove, che ci riconsegna Ian Siegal nella forma migliore e
nella condizione ideale, quella acustica senza orpelli e amplificatori.
Una dimensione intima già apprezzata in una pubblicazione autoprodotta
di qualche anno fa nel solitario Shake Hands With The Devil, ma Ian è
migliorato pur restando autentico e fedele al suo spirito blues. La voce
consumata e intensa, con sfumature che arrivano direttamente dal cuore,
e uno stile chitarristico, asciutto e coinvolgente, sono in sintesi gli
elementi distintivi riconoscibili in ogni nota di The Dust. Il lavoro
si articola su tredici brani, tra autografi e non, di profondo spessore
emotivo come Stranger Clothed In Linen e
Cocaine Cannot Kill My Pain (Steve
Earle, dal disco I Feel Alright), in cui la national steel è pungente
nel primo brano e inquietante nel secondo.
Sfido chiunque a non riuscire ad amare brani come The
Gauntiet, duettato con passione e impeto con l'amico Sam
Hare, tra i pochi ospiti presenti insieme al session man BJ Cole
(Beck, Bjork, Rem, Robert Plant, etc) alla pedal steel. Oltre al sentito
omaggio a Mary Gauthier (I Drink),
occorre menzionare la versione trascinante del traditional I'll
Fly Away, spesso eseguita con enfasi dal vivo. Indovinata la
scelta di inserire quattro esaltanti testimonianze live, in cui Ian magnificamente
mostra le sue qualità con l'eloquente Brand New
High Sheriff Blues e Dirt Road/Call
Me The Wolf, tributo finale a Howlin Wolf in una suite di dieci
minuti. Da ascoltare ripetutamente con la sicurezza di non restare mai
a bocca asciutta per 56 minuti. (Antonio Avalle)