In un'annata in cui la black music sta continuando a fornire molti motivi di interesse,
è forse giunta l'ora anche per le nostre pagine di occuparci di Robert Randolph.
Innanzitutto perché questo chitarrista del New Jersey è un raro caso di specialista
della pedal steel guitar dedito non al country o al blues in senso stretto (anche
se Buddy Guy lo chiama spesso e volentieri nei suoi dischi), ma ad una funky-music
a tutto tondo che abbraccia davvero tante (e forse a volte troppe) sfere. La sua
attività di session-man e ospite d'onore è molto intensa (tra i più recenti, Robbie
Robertson, North Mississippi Star, Los Lobos, Elton John & Leon Russell e tanti
altri) e negli Stati Uniti è divenuto una sorta di star grazie alla sigla di apertura
del programma dedicato alla NBA dell'ABC.
Stimato dai colleghi e dalla
stampa (Rolling Stone lo ha messo fra i 100 chitarristi migliori della storia!),
la sua discografia, da sempre portata avanti con la fedele Family Band (in cui
ci sono davvero dei parenti come il batterista Marcus Randolph e la brava vocalist
Lenesha Randolph) è uno scoppiettante caleidoscopio di stili e umori, che da Sly
Stone si spingono fino a Santana (con il quale collabora spesso), ma forse più
in generale ricorda l'approccio delle jam-band bianche. Immaginate un Derek Trucks
in session con JJ Grey & Mofro o un Dave Matthews quando si crede Stevie Wonder,
oppure semplicemente pensate ad una versione più blues-southern-roots-oriented
dei Funkadelic e non ci andate molto lontano. Randolph ama mischiare (New
Orleans pare un brano dei Wet Willie virato a rap), citare (la somiglianza
di Born Again con Love the One You're With
di Stephen Stills non può essere solo un caso), spesso e volentieri ostentare
(Amped Up) e anche un po' "sbrodolare" con la sua chitarra (in Brand
New Wayo lo fa in coppia con l'amico Carlos Santana) o con la sua pedal-steel
(Get Ready).
Lickety Split è
forse il suo disco più pimpante e spensierato, un party-record che non disdegna
i momenti di commozione (la ballatona Blacky Joe,
anche questa con il contributo di Carlos Santana, o la lunga Welcome Home),
ma che spesso spinge sull'acceleratore grazie a brani nati solo per far muovere
il culo come la title track o le significative cover di Love
Rollercoaster degli Ohio Players (ma il brano è forse oggi più noto
nella versione dei Red Hot Chili Peppers) e il finale affidato all'immortale Good
Lovin' degli Young Rascals. Un bel meltin pot di varie influenze, che
non disdegna riff hard rock per sostenere testi di stampo politico (All American)
o spensierate svisate nella funky-music (Take The Party,
con il contributo di Trombone Shorty). Il difetto sta nel troppo di tutto e nel
troppo poco di sostanza, perché Randolph ama più dare spettacolo e spesso e volentieri
cede a qualche virtuosismo da circo, ma Lickety Split appare forse come il suo
lavoro più equilibrato in questo senso. Dategli un ascolto quando siete dell'umore
giusto, non c'è un brano che non si faccia fischiettare al primo colpo qui dentro…e
non è davvero poco.