Se fosse un disco veramente nuovo, Don't Lose This sarebbe solo
l'ultima delle riesumazioni di star del soul storico ad opera di star della roots-music
moderna. Ma qui ad essere riesumato dalla benemerita Anti è un album che, se fosse
uscito ai tempi della sua effettiva prima registrazione (il 1999), avrebbe scippato
al duo Solomon Burke/Joe Henry il merito di aver lanciato la moda delle collaborazioni
vecchio/giovane in campo soul (e non solo…). Ma non sarebbe stato in ogni caso
così, perché c'è il trucco… Facciamo un passo indietro: Pops Staples è
morto nel 2000 dopo una vita di grandi successi e irraggiungibili capolavori con
i suoi Staples Singers (se non avete in casa perlomeno Be Altitude: Respect Yourself
del 1972 vergognatevi…) e battaglie sociali e antirazziste. Prima di morire registrò
un ultimo disco, insieme alla fedele figlia Mavis, per solo chitarra e voci, ma
nessuno pensò a pubblicarlo.
La tenace Mavis ha parlato dell'album al
suo produttore del momento, Jeff Tweedy dei Wilco, il quale ha ripreso
i nastri e ha registrato ex-novo le parti di basso e qualche chitarra. E, visto
che era intento a registrare il suo album solista con il figlio Spencer, ha affidato
al pargolo le poche parti di batteria presenti. Il risultato è in tutto per tutto
simile ad album come One
True Vine di Mavis Staples, ma il fatto che questa volta il tutto
sia frutto di un abile mix di registrazioni fatte a distanza di 15 anni impone
una riflessione: da una parte dimostra come 15 anni di soul-revival (da parte
dei vecchi, più o meno tutti tornati in auge a turno) e new-soul (tante giovani
leve che suonano esattamente come i vecchi) non hanno cambiato di una virgola
la grammatica del genere, dall'altra esalta ancora una volta l'essenza di questa
musica: basta una voce, una grande interpretazione, molta anima e, se possibile,
anche qualche buona canzone (le dieci scelte in questo caso lo sono), e si può
fare un ottimo soul-record.
E volendo anche senza bisogno di grandi geni
che ci mettano del loro, perché di fatto anche in questo caso Tweedy si limita
a seguire gli schemi e a dare un contorno senza stravolgere troppo gli arrangiamenti
originali. Insomma, Dont' Lose This, così come ci arriva oggi, nel 1999 sarebbe
stato un miracolo, nel 2015 suona come un disco un po' tardivo, già sentito. Ma
chi se ne frega in fondo, perché Tweedy o no, è un'opera di soul, cantata da un
vecchio un po' "sfiatato" di voce ma non di sentimenti, e da una vocalist
che la voce invece non l'ha persa mai. E con cover intelligenti come la dylaniana
Gotta Serve Somebody o il traditional Will
The Circle Be Unbroken che chiudono alla grande il disco, ma anche
tenui soul-ballads come Sweet Home e Friendship, e una sentita versione
solo voce e chitarra di Nobody's Fault But Mine
di Blind Willie Johnson. Probabilmente lo stesso Pops non si sarebbe mai immaginato
che un giorno queste registrazioni sarebbero state addirittura "trendy",
e forse le avremmo apprezzate anche senza la post-produzione di Tweedy, nonostante
in alcuni casi l'aggiunta di una band pare davvero dare quel qualcosa in più (la
baldanzosa The Lady's Letter).
Non
è mai troppo tardi per un bel disco come questo, nonostante abbia già fallito
l'appuntamento con la storia.