File Under:
blues and beyond di
Matteo Fratti (30/04/2018)
Ci dev'essere qualcosa che ci fa associare blues e biscotti, da un inconscio musicale
che nasce alla fonte radiofonica di Helena, Arkansas, Radio KFFA agli albori di
tutto quanto ( ..e che attraverso il blues pubblicizzava la farina al "King Biscuit
Time" di Rice Miller, aka Sonny Boy Williamson II) fino alla nostra era (..a quei
tempi andati ormai futura) in cui scopriamo invece che il personaggio in questione,
di cui al presente cd, è nientemeno che direttamente imparentato con l'Amos dei
biscotti "Famous Amos" al cioccolato, tale Wally Amos, di cui è figlio più giovane.
Una divertente coincidenza, se non fosse per altre vicissitudini familiari che
piuttosto, un po' drammatiche per il nostro, ci fanno abbandonare i biscotti nel
nome di un altro prodotto che ci piace assaggiare di frequente, soprattutto quand'anche
questo impasto ne conservi comunque sempre quel che di artigianale accomuna blues
& cookies, e non solo.
Che l'industrializzazione poi abbia messo mano
a certa genuinità delle cose, non è scoperta recente, ma quando resta un po' aria
di casa in quel che dalla cantina arriva lontano, allora possiamo in un certo
senso ritenerci soddisfatti. E umori di vecchio blues in qualche modo li conservano
anche questa manciata di pezzi, in cui di tradizionale nel nuovo ci basti soltanto
che sono stati registrati anche un po' qua e là in giro per il Sud, compresi i
Fame Studios di Muscle Shoals, Alabama, e i Royal Studios di Memphis, Tennessee.
E se anche il reverendo è di New York e abita in California, la traccia d'apertura
è un decisivo invito che fa partire Breaks It Down alle giuste latitudini,
voce lontana tra una chitarra riverberata e un'armonica elettricamente sporca:
con Moved, sentiamo già vicine le Mississippi
Hills. C'è la Hi Rhythm Section poi per 2017
e Shawn Amos, che Ministro della Chiesa lo è per davvero (Universal Life
Church) ruba la band al più illustre collega Al Green con una traccia molto Memphis
- soul. Non è infatti solo un richiamo blues deltatico a farla da padrone, come
l'incipit potrebbe tradire, ma c'è persino il rock in quanto Hold Hands anticipa
di un omaggio al genere palesemente insito con The Jean
Jeanie, proprio del compianto David Bowie (da Aladdin Sane, 1973).
A seguire è una denominata "Freedom suite" che include un terzetto di
tracce una via l'altra, in cui la natura molto black del disco emerge prorompente,
e pure quella radice spiritualmente evocativa che trova nel canto a cappella di
Uncle Tom's Prayer l'elemento di spicco, culminante nella corale We've Got
To Come Together. Basterebbero tali a farci parlare di un'altra bella novità,
a cui giungiamo in ritardo dall'appena trascorso 2017, ma tuttavia puntuali alle
celebrazioni per il Dr. King in questo inizio di 2018, in cui talune songs possono
confluire. La chiusura sulla coinvolgente Peace, Love
and Understanding però, si aggiunge con forza a quanto di cui sopra,
e marca l'ulteriore forza di un album che potrebbe illuminarci un'altra volta
come Jake Blues al catechismo del reverendo Cleophus James in quella famosa domenica
della rivelazione.