In Italia i Falling Martins li abbiamo scoperti grazie ad un sorprendente
(e torrenziale) doppio album dal vivo (Live
At The Old Rock House), tante belle canzoni che in pochi avevano
avuto l'occasione di sentire nei tre album in studio pubblicati fino a
quel momento da questa formazione di St Louis. Curiosità e anche una certa
attesa dunque per questo Shining Bright, quarto album di
materiale originale, nonché il primo ad uscire dopo i tanti consensi riscossi
nelle classifiche di fine anno (che a quanto pare però non sono valsi
un contratto con un'etichetta di rilievo). Che è, a conti fatti, un disco
per certi versi sorprendente, perché il live aveva evidenziato una band
con un gran bel feeling e un discreto songwriting di stampo classico,
ma anche con limitati orizzonti in termini di fantasia e varietà di soluzioni.
Invece il vocalist Pierce Crask e compagni qui giocano la carta
della disomogeneità e di una certa confusione tipica dei dischi in studio
delle band del circuito H.O.R.D.E. che fu (per chi non lo ricorda, era
un festival itinerante degli anni 90, il cui acronimo significava più
o meno "orizzonti di un rock che si sviluppa ovunque"), vale a dire quel
senso di grandi potenzialità spesso non pienamente espresse che davano
alcuni dischi dei Widespread Panic o dei Blues Traveler, guarda caso band
che loro hanno spesso seguito in tour come spalla.
I ragazzi qui sfruttano bene la loro capacità di scrivere belle ballate
da strada degne delle migliore red dirt music moderna (Unkind),
a volte impreziosendole con chitarre alla Neil Young (When
Spring Came) o giocando un po' a camuffare la voce con i microfoni
(Country Flower). Ma l'attacco di
Bill Mauldin's Star pare un evidente
tentativo di confezionare un brano molto radiofonico, che si distacchi
dalla filosofia da band on the road, e bisogna ammettere che se l'intenzione
era di creare un piacevole tormentone da car-radio, ci sono pienamente
riusciti. Altrove invece altri tentativi di cambio di stile come la quasi
swingata Everything That Glitters
o la ballatona facile facile di Oasis
(già sentita in miglior versione in apertura del live) sembrano un po'
avere il fiato corto. Meglio quindi quando vanno sul sicuro con una slow-song
epica (Colt In The Sun) o sentimentale
(Black Label), o quando in No
Surprise cercano anche tra le mura degli studios il ritmo trascinante
di un finale di concerto (bello in questo caso il duello slide-wurlitzer).
Chiusura in versione bar-band con il piano balzellante di Outside
The Door e tutti a casa dopo una canonica quarantina di minuti
di pura american-music. Probabilmente Shining Bright conferma quanto già
sospettavamo, cioè che la storia della musica americana non troverà nei
Falling Martins un punto di svolta, quanto solo l'ennesimo combo che sa
raccontare bene le proprie storie davanti ad un ascoltatore e non ad un
registratore. (Nicola Gervasini)