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The
Decemberists
The Hazards of Love
[Rough Trade 2009]
Che i Decemberists avessero ormai cambiato decisamente rotta rispetto
agli esordi folk-rock era cosa ben nota a tutti gli appassionati meno
distratti. Già col precedente The
Crane Wife (e con l'ep The Tain), la band di Portland, una
delle più acclamate della scena indipendente americana, si era spinta
verso discorsi dall'ampio respiro musicale e lirico, che tentavano di
allargare il campo espressivo di un genere (ossia l'etichetta iper-abusata
che risponde al nome di indie-pop) che oramai stava stretto a Colin
Meloy e compagni. La scelta di uscire allo scoperto con una vera e
propria opera rock, come quelle che andavano tanto di moda negli anni
'70, non dovrebbe dunque stupire nessuno. Già, perchè questo The
Hazards of Love è un vero e proprio racconto rock in musica, molto
teatrale e, inutile dirlo, molto ambizioso. I Decemberists, si sa, o si
amano o si odiano, non c'è una via di mezzo, e questo nuovo progetto non
fa altro che accentuare questa dicotomia.
Si tratta, nella fattispecie, di una specie di fiaba silvestre, popolata
di personaggi magici, che racconta la storia dell'amore tra Margaret,
una ragazza di città, e William, una specie di folletto dei boschi, che
incrociano sulla propria strada una serie di antagonisti. Per rendere
poi più efficace il racconto in musica, al fianco della band compaiono
una serie di ospiti che interpretano ciascuno uno dei personaggi principali.
Troviamo quindi Becky Stark dei Lavender Diamond, nei panni della
protagonista femminile Margaret e Shara Worden dei My Brightest
Diamond che interpreta una maliarda ed affascinante Regina del bosco.
Per vestire musicalmente questo coraggioso intreccio, i Decemberists si
affidano a trovate musicali che trascendono decisamente i propri trascorsi
stilistici e che spaziano attraverso ballate acustiche ed eteree come
per esempio Isn't it a lovely night,
sorretta esclusivamente da chitarra acustica e fisarmonica e pervasa da
un'aria molto britannica, per arrivare a vere e proprie cavalcate hard
rock che rimandano nientemeno che ai primissimi album dei Black Sabbath
ma anche a certe sferzate in stile PJ Harvey, passando attraverso brani
che non sarebbero stati fuori posto su un disco dei Gentle Giant (Won't
wait for love su tutte).
Insomma, ci troviamo di fronte ad un disco molto complesso, sia liricamente
sia a livello musicale, che strizza l'occhio al progressive rock degli
anni '70, ma filtrato con un'attitudine decisamente "roots",
che richiama un album come John Barleycorn degli immensi Traffic (nome
stranamente mai accostato alla band di Portland). Tuttavia, è innegabile
che spesso la complessità rischia di trasformarsi in pesantezza: la scelta
di unire ogni traccia alla precedente sicuramente toglie un po' di respiro
all'ascoltatore, mentre la ripresa del tema principale da parte di un
coro di bambini in Revenge è sicuramente
un brano di cui avremmo volentieri fatto a meno. Ciò non toglie che quest'opera,
per quanto rischi di essere pretenziosa, ha in sé oltre al coraggio (che,
detto per inciso, da solo non basta) una buona dose di orecchiabilità
che rende il disco tutto sommato piacevole. Sconsigliato ai tradizionalisti
più incalliti.
(Gabriele Gatto)
www.decemberists.com
www.myspace.com/thedecemberists
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