inserito 11/12/2006

The Decemberists
The Crane Wife
[Capitol 2006]


1/2

Che nel romanzo indie-pop sinora elaborato dai Decemberists stesse cambiando qualche ingrediente letterario lo si era già notato nel precedente, ottimo Picaresque (2005), dove le melodie sognanti, il gusto per i riferimenti storiografici e mitologici, le frequenti citazioni folk e l'amore per l'eccesso teatrale così radicati nel dna del gruppo di Portland avevano cominciato a modularsi attraverso un canone espressivo assai solenne e ricercato. Altrettanto ambizioso è questo The Crane Wife, il cui concept è lontanamente ispirato a un vecchio racconto giapponese ed è il primo album su major della formazione. Non che l'abbandono della Kill Rock Stars, del resto, abbia in qualche modo appannato l'esuberanza creativa dei nostri: The Crane Wife mi sembra anzi il loro album più coraggioso e singolare, temerario nell'affrontare lunghezze e forme espressive difficilmente potabili per il grande pubblico, audace nell'attirare su di sé l'accusa di militanza prog che brani come The Island e le parti 1 e 2 della title-track (entrambe veleggianti ben oltre il giro di boa dei dieci minuti di durata) non potevano non suscitare. Sappiate comunque che le tracce in questione, oltre a non aver nulla a che spartire con E,L&P o Yes (possono semmai rammentare i Gentle Giant), ricordano da vicino i cinque movimenti dell'ep The Tain ('04), che nessuno si sognò di definire prog, e che, pur essendo raggruppate in due maestosi macro-insiemi, assomigliano piuttosto ad almeno cinque o sei canzoni diverse catalogate sotto un'identica numerazione in omaggio a esigenze, diciamo così, di ordine "narrativo". Oltre all'ambizione, il nuovo lavoro di Colin Meloy, Chris Funk, Jenny Conlee, John Moen e Nate Query, qui cooperanti con la tastiere di Chris Walla dei Death Cab For Cutie e con la voce di Laura Veirs, nonché prodotti dal di lei batterista Tucker Martine, si segnala per un deciso ispessimento dell'ordito sonoro, le cui trame, nei dischi passati, non sono forse mai state così complesse e risolute nell'elettrificarsi (You'll Not Feel The Drowning), nel movimentare i ritmi (assai accesi nel quasi-funk bianco di The Perfect Crime #2), nell'inseguire l'epos antico di una macabra murder-ballad (Shankhill Butchers) o di una canzone da marinai (la marziale Sons And Daughters). Spiace perciò che in tanta gloria non manchino parentesi singolarmente irrisolte, siano esse il folk-rock strasentito di Summersong o una When The War Came che pare la gemella complessata della 16 Military Wives dello scorso anno. Segni tracciati con troppa fretta su di un affresco altrimenti irreprensibile per ordine e rigore, ma in ogni caso non troppo distante dalla scrittura della parola definitiva sull'odissea musicale e letteraria dei Decemberists.
(Gianfranco Callieri)

www.decemberists.com


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