inserito 01/04/2009

Bonnie Prince Billy
Beware
[
Domino/ Self
2009]



Nel mondo di Will Oldham due più due non fa mai quattro, le emozioni si esprimono solo nell'oscurità, e si traducono sempre in un folk strascicato e caracollante. O perlomeno questa era diventata la banalità di rito da dire nelle recensioni a lui dedicate. Con Beware cambia la sua musica, e probabilmente anche il modo comunemente usato per descriverla. Nel corso delle numerose produzioni di tutte le sue incarnazioni artistiche (Will Odlham, Palace Brothers, Palace Music e Bonnie "Prince" Billy quelle principalmente usate), Oldham ha creato un club che ammette pochi selezionati adepti, ma l'anno scorso sono arrivati l'indefinibile Lie Down In The Light e quello strano e strabiliante live Is This The Sea?, entrambi così pesantemente immersi nella tradizione rurale americana da cominciare a far storcere il naso ai soci più esclusivi, poco avvezzi ad ammettere linguaggi così convenzionali e codificati nelle vene del loro guru.

Beware esce come al solito in fretta, con quella cadenza ormai semestrale a cui ci ha abituati (se il prossimo novembre non dovesse pubblicare nulla, ci sarà seriamente da preoccuparsi), e toglie ogni dubbio sulla natura della svolta intravista lo scorso anno. Lo scandalo è che per la prima volta Oldham sembra voler omaggiare, seguire, citare altri mondi e altri stili, fin da quella copertina che è un'evidente copia di Tonight's The Night di Neil Young, ma potrebbe anche essere il layout su cui basare una serie di suoi ipotetici American Recordings. Ma la buona novella è che questo disco non è un titolo di passaggio, ma rappresenta una nuova milestone del suo straordinario percorso artistico, dopo che I See A Darkness aveva certificato la raggiunta maturità e The Letting Go aveva chiuso il corso con il classico sommario di una carriera. Il suono di Beware è nato negli studi di Chicago con una folta schiera di musicisti di genere, tra i quali il chitarrista Greg Leisz e l'ex Mekons Jon Langford, ed è un sound pieno, molto simile a quello che si ritrovava in certe produzioni di Nashville degli anni settanta, con largo uso di epici cori femminili (Beware Your Only Friend), abbondante uso di pedal-steel guitar, e ritmi orgogliosamente classic-country (You Can't Hurt Me Now e I Don't Belong To Anyone).

Ad un certo punto fa capolino persino un bellissimo sax da rotonda sul mare in quella gemma che è My Life's Work, brano che tra schitarrate elettriche, violini piangenti e cori in crescendo, mostra tutta la voglia di Oldham di uscire dal minimalismo sonoro che lo ha sempre contraddistinto. E poi c'è questa nuova vena folk-pop che fa si che Beware sia pieno di momenti accomodanti, con gentili ballate acustiche che ricordano addirittura un certo Cat Stevens (Death Final e ancor di più I Won't Ask Again). Qui si guarda agli anni settanta, omaggiando sia gli ambasciatori del dolore di quegli anni (You're Lost, Heart's Arms con i suoi lugubri archi, e lo splendido finale con flauto di Afraid Ain't Me, sono i momenti più devastanti), sia la vena leggera del folk-rock di allora (I Am Goodbye e You Don't Love Me, così facili e cantabili, sarebbero potute anche essere canzoni papabili per una programmazione radiofonica trentacinque anni fa).

A voi a questo punto il compito di decidere se questa è la fine del vostro interesse per il personaggio o magari il primo suo disco che scorre finalmente su coordinate a voi consone. A noi questo Bonnie "Prince" Billy sta piacendo esattamente come quello di prima.
(Nicola Gervasini)

www.dominorecordco.com/artists/bonnie-prince-billy
www.myspace.com/princebonniebilly



<Credits>