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Jenny
Lewis
Acid Tongue
[Rough
Trade/ Self
2008]
A tre anni di distanza da quel Rabbit
Fur Coat licenziato in coabitazione con le Watson Twins - primo
tentativo di mettersi in gioco al di fuori dei Rilo Kiley - Acid
Tongue è per Jenny Lewis la dimostrazione di essere riuscita
a ritagliarsi uno spazio preciso come figura solista e soprattutto di
voler rischiare qualcosa, facendo saltare in aria tutte le possibili corde
della sua sensibiltà musicale. Non si spiegherebbe altrimenti un disco
che, come e più che in passato, sguazza nelle anticaglie della pop music
e del lascito artistico dei sixties mettendo insieme un collage di canzoni
accattivanti, di ganci melodici e rock'n'roll song spumeggianti. Apparirà
in superficie un disco furbo e smaliziato, e lo è a tutti gli effetti,
se non che la capacità di sfruttare le poche armi a disposizione, compresa
una voce che non è miracolo ma ha carattere e sa ammaliare, colpisce il
bersaglio e induce all'ascolto curioso.
Non è soltanto merce per revivalisti dunque, ma un puzzle costruito ad
arte e infarcito di piccoli camei e collaborazioni che ne amplificano
le sfumature: saltando dal pop più ricercato al garage rock, da un soul
arrembante alle trame più tradizionali del folk, Acid Tongue consegna
una nuova interessante voce, non più una stellina a fare da contraltare
all'amico Conor Oberst (proprio quest'ultimo la convinse alla carriera
solista) o al musicista e fidanzato Jonathan Rice. Quest'ultimo
mette lo zampino nella produzione insieme a Dave Scher e Jason Lader,
ma soprattutto ricambia il favore a Jenny (che riempiva di cori il recente
Further
North) duettando nell'apocalittica The
Next Messiah, strano incrocio garage soul scandito in tre tempi:
si tratta in verità di tre canzoni differenti riunite in una sorta di
unicum, quasi nove minuti di rock appiccicaticcio e cambi di ritmo. È
forse l'episodio più ambizioso di un lavoro che tuttavia riserva sorprese
ad ogni giro: la dolcissima carezza di Pretty
Bird ad esempio, con l'ospite M Ward alla chitarra,
una soave e fragile ballata dal titolo esplicativo, Bad
Man's World, e prima fra tutte la stessa title track, un brezza
folk d'altri tempi con una bella inforata di amici a sostenere le backing
vocals (ci sono anche Chris Robinson dei Black Crowes, Zooey Deschanel
e la sorella Leslie Lewis).
Tra una tenerezza e l'altra spunta qualche voglia improvvisa di rock'n'roll
che non guasta affatto: See Fernando
è nervosa e scalpita come una anticaglia di qualche cantina newyorkese
a metà degli anni '70; Carpetbaggers
è semplicemente un pop rock dal gancio facile e lo zampino di Elvis Costello,
che duetta con convinzione, accresce la freschezza del brano, qualcosa
di cui potrebbe andare fiero persino Tom Petty; Jack
Killed Mom infine è uno struscio fra lo stomaco garage dei
White Stripes ed il cuore gospel che batteva in Jenny Lewis fin dal precedente
Rabbit Fur Coat. Il parossisimo da r&b indiavolato nel finale sarebbe
stato la conclusione perfetta, ma la protagonista ha preferito spegnere
le luci con una Sing a Song un po'
ruffiana: poco male, fa parte del carattere di questa ragazza e va accettato
insieme a tutto il resto, che non è affatto trascurabile.
(Fabio Cerbone)
www.jennylewis.com
www.myspace.com/jennylewismusic
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