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inserito
il 01/02/2006
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Nei ritagli di tempo, tra un tour e un disco con la sua principale occupazione,
quella di voce e leader dei Rilo Kiley, Jenny Lewis ha coltivato
il sogno di un un esordio solista, incidendo le prime bozze a San Francisco
con l'amico Mike Mogis, quindi volando a Portland per rifinire il prodotto
con le chitarre di M Ward. Un passo a cui non aveva minimamente pensato,
secondo sua stessa ammissione, fino a quando due anni fa non è stata convinta
dalle insistenze di Conor Oberst dei Bright Eyes (che per i Rilo
Kiley ha sempre avuto un debole, pubblicando il loro secondo disco e portandoseli
in giro come opening act). Nel cercare un sostegno per la relativa inesperienza
del songwriting della Lewis, le note di presentazione citano il white
soul di Dusty Springfield e Laura Nyro, il pop di Petula Clark e le icone
country Loretta Lynn e Patsy Cline. Jenny Lewis avrà le vertigini e non
merita accostamenti che non hanno senso, specialmente se riletti attraverso
la lente di una carriera più vicina all'universo indie rock americano.
Viene in mente allora, nel tracciare le linee guida di Rabbit Fur
Coat, la collega Neko Case: come quest'ultima si divide tra il
country rock suggestivo e nero dei suoi lavori solisti e il pop brillante
dei New Pornographers, così il disco della Lewis riesce a scrollarsi di
dosso il suono rotondo e più orientato al pop rock dei Rilo Kiley per
immergersi in ballate tenui e dal tessuto elettro-acustico, dove la scorza
di radici e temi religoso-intimisti si addolcisce grazie non solo alla
limpida vocalità della stessa Lewis, ma anche al supporto del celestiale
coro delle Watson Twins. Si tratta di due ragazze del Kentucky
che dividono i meriti di copertina garantendo un tappeto agrodolce, a
cominciare dal breve schizzo di Run Devil Run. È la successiva
Big Gun, deliziosa e vivace filastrocca folk, a precisare meglio
i contorni del disco, fresco e senza pretese, con luccicanti arrangiamenti
elettro-acustici che alternano momenti più "tradizionalisti" e fughe pop
accattivanti. E pazienza se le liriche di Jenny Lewis non sembrano proprio
un capolavoro di bella scrittura. Convenzionale eppure a tratti irresistibile,
Rabbit Fur Coat conquista per la semplicità disarmante di The Charging
Sky, una slide guitar ed un coretto gioioso, per le fragili Melt
Your Heart e It Wasn't Me, per una You Are What You Love
sospesa tra le grazie delle voci delle Watson Twins. Rise Up With Fists
schiarisce infine la matrice roots che sta alla base di brani quali
Happy e la stessa Rabbit Fur Coat aprendosi ad una apoteosi
melodica, che si tocca con mano nella cover di Handle With Care (stava
sul primo episodio dei Traveling Wylburys), chicca vera e propria cantata
a più voci con la partecipazione di M Ward, Ben Gibbard
(Death Cab for Cutie) e Conor Oberst (Bright Eyes). Ringraziamo
proprio quest'ultimo se ci ritroviamo tra le mani Rabbit Fur Coat, ennesimo
esempio di quel scintillante revival folk rock con strascichi southern
country, che va ad aggiungersi alle numerose pretendenti del panorama
indipendente americano (Fabio Cerbone) |