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James Blood Ulmer
Birthright
[2005]

La scelta di: Antonio Avalle


Intimo e tagliente: questo è quanto emerge, immediatamente palpabile, dall’ascolto ripetuto di Birthright, summa di un lungo percorso artistico e introspettivo di James Blood Ulmer (musicista classe 1940). L’artista in perfetta solitudine ci trasferisce dodici tracce di straordinario effetto. Un blues privo di prevedibili convenzioni e tradizionali canoni, piuttosto rivisto con assoluta originalità e l’impronta indelebile di un artista a tutto tondo. James Blood Ulmer ha esplorato lo scibile musicale, dal free Jazz al funk (tra le storiche collaborazioni: Art Blakey, Joe Henderson, Larry Young, Ornette Coleman…) ritornando alla radice di tutto negli ultimi anni della sua carriera con una manciata di album, che ritrovano proprio in Birthright la loro massima espressione.

Una voce piena e inquieta accompagnata dalle note elettriche, sovente percussive, di una chitarra lancinante. A dimostrazione che può bastare davvero poco per scuotere con forti vibrazioni: cuore e anima. Sotto la supervisione di Vernon Reid (Living Color) l’album conta quasi tutti brani autografi, fatta eccezione per due classici rivisti con grande maestria e classe: I Ain’t Superstitious, perla inquieta, e Sittin' On Top Of The World, un fulmine a ciel sereno. Lascia increduli la sequenza dei brani iniziali, che cattura imperiosa intrecciandoci in un incantesimo nero e spiritato. Take My Music Back To The Church toglie il respiro. Diventa inutile fare la lista dei buoni e cattivi tra le dodici tracce dell'album. Qui c’è solo da perdersi ad occhi chiusi e lasciarsi trasportare in questo viaggio ipnotico sulle pungenti note di un indomabile James Blood Ulmer.

In mezzo la ballata che non ti aspetti, White Man’s Jail, che riecheggia alla memoria John Lee Hooker nella parte cantata. Potrebbe essere rischioso imbattersi sui due strumentali presenti. In fondo rappresentano il manifesto dell’artista “no limits”, che senza compromessi sposta il driver sul suo spirito libero tra free Jazz e ragtime. Pertanto High Yellow prima e Love Dance Rag poi ci traspostano sui virtuosismi e sul suo inconfondibile stile. Il modo di suonare a più corde di Ulmer, staccando e aggredendo la chitarra, offre fraseggi e caldi riff mentre la voce scava negli spazi tra di loro: il brano The Evil One rende bene l’idea.

L'intensità in tutto il disco resta sempre alta, nonostante la stringatezza strumentale dell’operazione con solo chitarra e flauto, James Blood Ulmer ci ha donato il suo piccolo capolavoro.


    



Prosegui, la scelta di: Gianni Zuretti