Intimo e tagliente:
questo è quanto emerge, immediatamente palpabile,
dall’ascolto ripetuto di Birthright,
summa di un lungo percorso artistico e introspettivo
di James Blood Ulmer (musicista classe 1940).
L’artista in perfetta solitudine ci trasferisce
dodici tracce di straordinario effetto. Un blues
privo di prevedibili convenzioni e tradizionali
canoni, piuttosto rivisto con assoluta originalità
e l’impronta indelebile di un artista a tutto tondo.
James Blood Ulmer ha esplorato lo scibile musicale,
dal free Jazz al funk (tra le storiche collaborazioni:
Art Blakey, Joe Henderson, Larry Young, Ornette
Coleman…) ritornando alla radice di tutto negli
ultimi anni della sua carriera con una manciata
di album, che ritrovano proprio in Birthright
la loro massima espressione.
Una voce piena e inquieta accompagnata dalle note
elettriche, sovente percussive, di una chitarra
lancinante. A dimostrazione che può bastare davvero
poco per scuotere con forti vibrazioni: cuore e
anima. Sotto la supervisione di Vernon Reid (Living
Color) l’album conta quasi tutti brani autografi,
fatta eccezione per due classici rivisti con grande
maestria e classe: I Ain’t Superstitious,
perla inquieta, e Sittin' On Top Of The World,
un fulmine a ciel sereno. Lascia increduli la sequenza
dei brani iniziali, che cattura imperiosa intrecciandoci
in un incantesimo nero e spiritato. Take My Music
Back To The Church toglie il respiro. Diventa
inutile fare la lista dei buoni e cattivi tra le
dodici tracce dell'album. Qui c’è solo da perdersi
ad occhi chiusi e lasciarsi trasportare in questo
viaggio ipnotico sulle pungenti note di un indomabile
James Blood Ulmer.
In mezzo la ballata che non ti aspetti, White
Man’s Jail, che riecheggia alla memoria John
Lee Hooker nella parte cantata. Potrebbe essere
rischioso imbattersi sui due strumentali presenti.
In fondo rappresentano il manifesto dell’artista
“no limits”, che senza compromessi sposta il driver
sul suo spirito libero tra free Jazz e ragtime.
Pertanto High Yellow prima e Love Dance
Rag poi ci traspostano sui virtuosismi e sul
suo inconfondibile stile. Il modo di suonare a più
corde di Ulmer, staccando e aggredendo la chitarra,
offre fraseggi e caldi riff mentre la voce scava
negli spazi tra di loro: il brano The Evil One
rende bene l’idea.
L'intensità in tutto il disco resta sempre alta,
nonostante la stringatezza strumentale dell’operazione
con solo chitarra e flauto, James Blood Ulmer ci
ha donato il suo piccolo capolavoro.