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alt-country, guitar rock di
Fabio Cerbone (01/08/2012)
Fra
gli ultimi paladini di una certa ortodossia in campo alternative country, il quintetto
della Virginia dei Wrinkle Neck Mules era partito con altre intenzioni
e soprattutto altri risultati, in dischi quali l'indipendente Pull
the Brake, ancora oggi la loro rivelazione migliore nel genere, quindi
il successivo The
Wicks Have Met, primo vagito "europeo" per la tedesca Blue Rose. Non
rinunciando all'essenza rurale della loro musica, i lavori citati poc'anzi presentavano
una credibile propaggine della stagione mitizzata degli Uncle Tupelo, senza per
questo copiare in bella forma uno stile già ampiamente maturo. Con il tempo la
band ha fatto però la sua scelta, legittima quanto si vuole ma in definitiva dannosa
per la qualità delle loro canzoni: meno fronzoli e radici, un feeling più elettrico
e live, che anche Apprentice to Ghosts, terzo lavoro su Blue Rose,
ricalca fedelmente.
Un disco che schiaccia quindi il pedale sulle chitarre
elettriche, almeno in partenza con When the Wheels Touch
Down, e proseguendo fiducioso attraverso Stone
Above Your head e On Wounded Knee,
con qualche scelta in sede di registrazione francamente poco comprensibile, a
cominciare da quel fastidioso (e fuori tempo massimo, diciamolo oure) 'big sound'
applicato con noncuranza alla batteria. Il quintetto della Virginia sembra fare
ancora incetta di riff modellati dai Crazy Horse, vera ossesione del gruppo, come
d'altronde di buona parte di questo sottobosco di indie band americane di provincia.
Sia chiaro, pedal steel e banjo non sono spariti dalla circolazione (Double
Blade, Banks of the James), ma
se i risultati devono essere come la stessa title track, una rimasticatura bella
e buona dei maestri Son Volt, allora preferiamo buttarci sull'ambientazione garage
di Patience in the Shadow, in cui la band
ha persino l'ardire di citare come riferimento gli oscuri (e benedetti) Go To
Blazes (altri tempi, altra gloria per il rock'n'roll più nobile di serie b).
Nell'equilibrio
un po' fragile fra rock'n'roll e radici (Leaving Chattanooga
ha tutte le carte in regola per essere un manifesto, partendo dal titolo), i Wrinkle
Neck Mules hanno insomma deciso semplicemente di trasformarsi in una delle tante
formazioni di ispirazione tardo alt-country, linguaggio evidentemente con il fiato
corto (anche perché lo stesso termine Americana pare se non altro avere da qualche
stagione cercato di "ampliare" gli orizzonti e le contaminazioni) e troppi ricordi
da collezionare. Niente di male a sopravvivere dentro uno schema, ci sono persino
esempi egregi e godibilissimi, ma le canzoni sembrano davvero averli abbandonati.