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rock'n'roll bignami di
Fabio Cerbone (02/05/2012)
Per
scoprire davvero l'archibugio (Blunderbuss, strambo titolo si dirà,
eppure a modo suo rivelatore della personalità dell'album) dovreste farvi il piacere
di saltare direttamente al quarto brano, Love Interruption,
sceneggiata dai toni blues, piano elettrico e acustica, voci maschile e femminile
a struggersi l'uno accanto all'altra per un brano che non esplode mai. Già, perché
doveste invece dare credito al facile gioco in stile di roboante garage rock di
Sixteen Saltines o peggio all'immancabile
vischiosa, ossessiva macchina da riff di Freedom at 21,
potrebbe anche sorgere in voi il dubbio che i White Stripes non abbiano mai dichiarato
il rompete le righe, soltanto un "brutto sogno" da cui riprendersi con la solita
proverbiale sfacciataggine. Non è così, volendo ben vedere a cominciare sin dall'apertura
sorniona con Missing Pieces, che sostituisce
le chitarre con un saltellante Fender Rhodes, ma lo sarà ancora di più nell'intreccio
successivo della scaletta.
Ha ragioni da vendere dunque il buon Jack
White nel dichiarare che questo Blunderbuss poteva essere pubblicato unicamente
a suo nome, frutto della sua espressività di musicista e archeologo del rock'n'roll:
strada facendo prende forma una raccolta quanto mai eterogenea eppure tradizionalissima,
dimostrazione ulteriore di un artista capace al tempo stesso di sintesi e progresso,
di guardare al passato senza risultare per forza conservatore. Certo la produzione
casalinga a Nashville e la variopinta squadra di musicisti approntata per l'occasione
non è esattamente il menù che si aspetterebbero gli orfani del duo con Meg White:
il ruolo centrale assunto dal piano di Brooke Waggoner (anche Hammond), steel
e mandolino di Fats Kaplin, le rustiche sfumature degli altri strumenti di contorno
prospettano un altro viaggio, che piacerà a chi ha sempre letto in controluce,
magari sotto la coltre dei taglienti garage blues di partenza, l'anima classica
di questo moderno folletto.
Ecco allora il tenero walzer country della
title track, il ruzzolare pianistico di Hypocritical
Kiss e gli irresistibili sobbalzi rootsy (piano e mandolino) di una
Hip (Eponymous) Poor Boy che pare sbucare
dai pub inglesi frequentati negli anni Settanta dai Kinks più fieramente operai,
fino alla cantilena da saloon I Guess I Should Go to
Sleep, dove l'amore per il blues trascina Jack White dentro l'anima
del vecchio Sud (e piace pensare che il buon Levon Helm avrebbe apprezzato...).
Non si preoccupi più del dovuto chi reclama comunque un briciolo di elettricità:
il rock'n'roll è fatto salvo anche questa volta, passando per l'unica cover (una
scattante I'm Shakin' che fu a suo tempo anche
nel repetorio dei Blasters), attraverso la New Orleans nera e magica di Weep
Themselves to Sleep o nelle trame strascicate di una Trash
Tongue Talker degna del Mick Jagger più dissoluto. E non è finita qui,
perché On and On and On è un irresistibile
fluttuare dalle movenze psichedeliche che conduce nei canyon americani dei primi
anni Settanta, mentre Take Me with You When YouGo manda tutti a casa con balzi di violino
e piano, prima del nevrotico, esplosivo finale in puro distillato Jack White.
Forse ancora a metà del varco, tanto impreciso quanto generoso, foriero
di possibili sviluppi, questo Blunderbuss resta comunque una testimonianza inappuntabile
di vitalità e suggestioni. Ne vedremo ancora delle belle da mr. Jack White.