Per
comprendere questo nuovo disco di Bruce Springsteen forse è necessario
partire dal fondo, da quella We Are Alive
che (bonus tracks dell'ormai immancabile deluxe edition a parte) chiude il disco.
Sta forse lì, nel grido "siamo vivi", lanciato in uno scenario di apparente desolazione,
il senso di questo Wrecking Ball, nell'affermare che, sì, si potrà
pure essere passati in mezzo ad un cerchio di fuoco - e in questo caso non pare
casuale la ripresa del tema del famoso brano di Johnny Cash - ma nonostante tutto
non è ancora passata la voglia di combattere. Proprio questo è il fulcro del nuovo
lavoro di Springsteen: il desiderio di far sentire la propria voce in "questa
depressione" che attraversa il mondo intero, frustato dalla crisi economica, ma
anche di gridare il proprio dolore di fronte al senso di perdita che la morte
di Terry Magovern, Danny Federici e Clarence Clemons hanno lasciato in lui. E'
un disco fortemente personale, in cui per la prima volta Springsteen sembra parlare
in prima persona piuttosto che raccontare il mondo da narratore appassionato ma
esterno. E al contempo, l'uomo del New Jersey sembra ormai aver interiorizzato
la lezione "popolare" delle Seeger Sessions, vero turning point dello Springsteen
formato anni Duemila, che è ormai entrata a far parte del suo dna musicale.
Il
risultato è un disco bruciante e vitale, certamente imperfetto e assolutamente
distante dal capolavoro, ma altresì lontano anni luce dalla sbiadita accoppiata
Magic - Working on a Dream, che sembrava sancire una sorta di viale del tramonto
artistico di un autore oramai sempre più ancorato ad una formula stantia e risaputa.
Certo, a volerne contare i difetti il risultato potrebbe essere fin troppo crudele,
a partire da una produzione sempre troppo sopra le righe e che spesso tende ad
aggiungere laddove si dovrebbe sottrarre (come l'assolo totalmente pleonastico
di Tom Morello al fondo dell'intensa ballata Jack
of All Trades o molti campionamenti di batteria che lasciano il tempo
che trovano), per giungere ad una certa disomogeneità compositiva e per non parlare
infine di un inizio a dir poco sconfortante, con quella We
Take Care of Our Town caricata da un'enfasi effetto Fm e dalla struttura
per nulla convincente. Eppure quello che colpisce è il crescendo di intensità
del disco, che canzone dopo canzone sembra recuperare una maestosità che nei dischi
di Springsteen non si vedeva da almeno dieci anni. Si passa da una
Easy Money sicuramente non memorabile, ma di certo molto godibile,
alla rabbia di Shackled and Drawn e Death
to my Hometown, che sembrano promanare direttamente dalle pagine di
We Shall Overcome anche a livello lirico. Si passa poi dalla citata Jack
of All Trades, simbolo dell'uomo americano che si arrabatta come può
per sopravvivere alla scura inquietudine di This Depression.
Ma è da metà in poi che il disco si impenna. La palla meccanica da demolizione
della trascinante Wrecking Ball diventa il
simbolo di un uomo che vuole distruggere per poi poter ricostruire un futuro,
mentre in Rocky Ground, in cui fanno un'incursione
perfino delle influenze rap (che tuttavia sono perfettamente incastonate nel brano
e per nulla disturbanti), sembra di assistere allo sconforto di un uomo senza
più certezze né appoggi. Tuttavia, una ventata di speranza è portata dalla forza
e dalla rabbia della riproposiione rock di Land of Hope
and Dreams che, oltre ad essere un omaggio all'amico di una vita Clarence
Clemons, sembra essere il grido di un uomo che nonostante tutte le difficoltà
e lo sconforto non riesce a fare a meno della speranza, unico punto di appoggio
della vita. A chiudere il cerchio arriva poi We Are Alive,
di cui abbiamo già detto in apertura, e l'impressione finale di aver finalmente
ritrovato un amico.