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forever young roots di
Gianuario Rivelli (21/11/2013)
Quando
i problemi all’apparato uditivo di Greg Keelor - che con Jim Cuddy condivide la
leadership bicefala dei Blue Rodeo - si sono aggravati, sembrava che il
glorioso combo canadese fosse avviato sul crinale di un inesorabile lungo addio.
L’impossibilità per uno dei due fondatori di suonare la chitarra elettrica pareva
consegnare ad una onorevolissima pensione una band di culto, pioniera nel rilanciare
la tradizione quando ciò (siamo a metà anni 80) sembrava un clamoroso harakiri
in tempi di nuovismo edonistico e sfrenato. Il loro roots rock cristallino basato
su irresistibili intrecci di piano e chitarre aveva prodotto autentiche gemme,
dischi imprescindibili (su tutti "Lost Together") fino ad un oggettivo
declino a cavallo dei due secoli. Si arriva così al momento in cui tutto- lavori
non indimenticabili e problemi di salute- lasciava presagire una progressiva uscita
di scena che nulla avrebbe tolto al loro blasone conquistato sul campo. E invece,
se già The
Things We Left Behind aveva fatto capire che i conti con loro bisognava
farli ancora, il nuovo In Our Nature ribadisce con sfrontatezza
che trent’anni di carriera possono non sentirsi affatto e che, quando l’ispirazione
torna ad essere quella giusta, sono ancora loro i depositari di quella formula
magica fatta di roots, country, folk e americana che ci ha sempre fatto tanto
bene.
Nell’idillio della fattoria di Keelor il riunirsi della nuova formazione
a sette (con il decisivo ingresso in pianta stabile di Colin Cripps, uno dei mammasantissima
della sei corde in ambito americana) ha dato vita a canzoni che “avevano bisogno
del conforto della campagna più che dell’ansia della città” per dirla con le parole
di Jim Cuddy. Ed è come ritornare sull’ottovolante quando si scatenano le chitarre
e si liberano i ritornelli di brani come Never Too Late
(uno dei loro pezzi migliori di sempre, con ganci perfetti e una steel guitar
sfacciata per la gioia delle nostre orecchie) New Morning
Sun (potrebbero registrare il marchio di questa canzone, sempre la
stessa ma sempre irresistibile) e When the Truth Comes
Out (inizio pianistico e seguito alla
ricerca della melodia perfetta con ricetta beatlesiana), un tris d’assi per cui
decine di band agli esordi pagherebbero oro. Il diversamente country di Tell
Me Again, Over Me e In the Darkness, seppure un paio di spanne
inferiore ai brani succitati, scivola via che è un piacere confermando un’ispirazione
viva. E quando Keelor sceglie di rallentare, dalla sua penna emerge la notevole
Wondering, soffusa e con venature jazzate.
Gli riesce meno bene la parsoniana Paradise, elegia che non supera i confini
dell’ordinarietà.
Peccato che i nostri non abbiano avuto il coraggio di
sforbiciare qua e là, riducendo la durata (63 minuti sono troppi) ed evitando
la sensazione di fiato corto che trasmette l’ideale facciata B: intendiamoci,
la seconda parte di In Our Nature non è da buttare, ma lo sbilanciamento a favore
dei primi 7 brani è clamoroso e man mano che si procede verso l’epilogo (peraltro
coincidente con la gradita cover di Out of the Blue
di The Band) finisce per annacquarsi il concentrato di delizie fin lì offerto.
D’altronde qualche eccesso di prolissità (You Should Know sgonfia, una
title track già sentita e una Tara’s blues anonima nonostante il bel finale
condotto dalla pedal steel di Bob Egan) è sempre stato uno dei nei della band
canadese. In Our Nature tra molti alti e pochi bassi si rivela un disco dalla
freschezza sorprendente per una band che è sulle scene da un trentennio. Ed è
chiaro che di questo sound, alchimia che vanta innumerevoli e spesso vani tentativi
di imitazione, non è ancora il momento di fare a meno. Al contrario, questa imprevedibile
e riuscita ripartenza fa pensare che per i Blue Rodeo i titoli di coda siano lungi
da venire.