File Under:country
rock, pop di
Fabio Cerbone (18/07/2012)
La
carriera di Rhett Miller si è sempre svolta su due limpidi binari paralleli:
da una parte gli Old 97's e il loro country rock d'assalto, con uno sguardo al
punk e uno alla tradizione, dall'altra le canzoni tenute in serbo per i progetti
solisti, dove mire pop, affettato romanticismo e sgargianti ballate da struscio
facevano capolino. Non che la band texana fosse immune da sgroppate power pop
e melodie accattivanti, tanto da essersi trasformata in un piccolo culto nel mondo
delle college radio americane e di un certo pubblico universitario, ma era evidente
che Miller riservasse alla sua bella faccia, con le copertine che insistentemente
lo ritraevano in pose da modello (quest'ultima non fa eccezione), la valvola di
sfogo per la parte più sentimentale del suo songwriting. Ci si aspettava che The
Dreamer ripetesse la formula, magari aggiustando qualche svenevolezza
di troppo che aveva intasato le scalette di The Believer e dell'omonimo album
del 2009, e invece con non poca sorpresa il nuovo episodio staziona a metà strada,
guardingo sul da farsi, più rapito del solito dal linguaggio roots del nostro.
Non è affatto un disco degli Old 97's sotto mentite spoglie, si badi bene:
troppo poco spavaldo e scarsamente elettrico per risuonare dell'energia tipica
dei compagni texani, semmai è una raccolta di ballate che, infilando a profusione
pedal steel (l'ottimo Rich Hinman) e chitarre acustiche rinuncia al lussureggiante
pop del passato per un vocabolario più semplice e stringato. L'operazione riesce
a metà, perché Rhett Miller su questo terreno ha già offerto molto e la mancanza
di una spinta maggiore in sede di esecuzione fa quasi rimpiangere i vecchi pard
degli Old 97's, offrendo spunti incompleti. La prima parte si rivela indubbiamente
la più frizzante e ispirata: si parte con il saltellare gioioso di Lost
Without You e si sfuma nel sussulto country di Long
Long Long, approdando agli struggimenti elettrici di Out
of Love, quintessenza di un brano alla Rhett Miller.
Fin qui
un album più contenuto e radicale nei suoni, ridotto all'essenza dello stile di
Miller, sorta di affascinante ibrido fra Ray Davies e Gram Parsons. Anche il miele
di This Summer Lie, ballata dagli inconfondibili
profumi sixties, e il duetto appassionato con Rosanne Cash (una delle voci
femminili del disco, insieme a Rachael Yamagata) nell'epopea country di
As Close as I Came to Being Right stabiliscono una seppur minima distanza
con quanto fatto in passato. Il problema resta tutto il contorno, fra l'ennesima
preghiera all'amata (Marina), siparietti acustici fra chitarre e piano
(I'll Try To, Picture This) e marcette
agresti (Love Grows) che cercano certamente
di contenere gli arrangiamenti, ma in fondo stiracchiano la stessa formula, solamente
in una versione più dimessa e cantautorale. E così il disco è l'ennesima
occasione sprecata o forse soltanto la controprova, non me ne voglia il suo ego,
che il meglio Rhett Miller continua ad offrirlo con la casacca sgualcita ma sincera
degli Old 97's.