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dylan from texas di
Fabio Cerbone (20/12/2012)
La
coerenza artistica del texano Jimmy LaFave è senza dubbio un valore aggiunto,
tanto più in un mondo, quello dell'Americana e del folk rock più tradizionalista,
dove non sono certo i cambiamenti improvvisi, le giravolte stilistiche o le collaborazioni
altisonanti a tracciare una linea di demarcazione nella propria carriera. Il percorso
suggerito dai tredici episodi di Depending on the Distance è dunque
già segnato in partenza, con tutto l'orgoglio e la testardaggine di chi non rinnega
i suoi affetti - Bob Dylan in prima fila, di cui ritornano oggi altre tre nuove
interpretazioni - e cerca semmai una qualche forma di coesione. Da questo punto
di vista il rientro discografico a cinque anni da Cimarron Manifesto, e primo
per la locale Music Road dopo una parentesi presso la prestigiosa "casa dei
songwriter" Red House, è un album inattacabile. A patto, sia chiaro, di apprezzare
più la forma che il gesto, perché LaFave non ci pensa proprio a scuotere le fondamenta
della sua musica.
Un placido incedere elettro-acustico che si gioca tutto
sulle stesse dinamiche, tra una voce affabile, chitarre che ricamano brevi fraseggi
e un melodia calcata dal pianoforte, un'ora di lezioni folk rock dove otto brani
originali e cinque cover scelte con certosina precisione riflettono il mestiere
del buon artigiano di Austin. Se album quali Buffalo Return to the Plains o Texoma
avevano dettato la linea con un portamento da autentico troubadour, riservando
un posto in prima fila per Jimmy LaFave sulla ribalta texana, non è lecito aspettarsi
che nel 2012 la questione si faccia più avventurosa: con le voci di Eliza Gilkyson
e Tameca Jones (un duetto nella pepata ballad sudista Bring
Back the Trains), e grazie ad un solido sostegno strumentale di gente
che si chiama Chip Dolan, Bill Chambers, Radoslav Lorkovic, John Inmon e via di
questo passo, LaFave porta a casa la pagnotta con il minimo sforzo, gigioneggiando
tra i saliscendi di Clear Blue Sky e Living
In Your Light, o la leggerezza malinconica di Vanished e A
Place I Have Left Behind, sostanzialmente la stessa canzone rigirata
da più angolazioni e con impercettibili cambi di umore.
La sola Red
Dirt Night azzarda qualche slancio country rock più frizzante, ma senza
alterare il gusto morigerato di una raccolta che offre l'unico vero momento di
evasione con lo strano ripescaggio di Missing You,
clamorosa hit di John Waite ripescata dai vaporosi anni 80 della generazione MTV.
Certo, restano da segnalare i brani altrui, una Land
Of Hope And Dreams (Bruce Springsteen) abborbidita nei toni, con enfasi
roots da E-Street band, ma soprattutto i nuovi episodi dell'infinita saga "dylaniana",
a cui LaFave mai rinuncerà: che abbia fiuto e preparazione per non scadere nelle
solite scelte è un vanto (I'll Remember You e
Tomorrow Is A Long Time rimangono comunque raffinatezze da dylanologi),
che sia anche un discreto interprete è fuori discussione (i nove minuti e mezzo
di Red River Shore emozionano a tratti), ma
alla prossima occasione potrebbe anche rinunciarvi, con un maggiore dono di sintesi.
Temo che non verremo ascoltati e alla fine va bene anche così: è quella tenace
coerenza a cui si accennava all'inizio che salva la pelle a Jimmy LaFave.