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folk
& soul di
Fabio Cerbone (18/05/2012)
In
tasca una recente affermazione ai BBC Sound 2012, ma soprattutto un disco d'esordio
in top ten in diversi paesi europei, Michael Kiwanuka è senza dubbio il
nuovo astro nascente del soul inglese, piccola sorpresa primaverile che ingrossa
le fila della "nostalgia musicale". Figlio di espatriati ugandesi, giunti in Inghilterra
in fuga dal terribile regime di Idi Amin, Kiwanuka è un venticinquenne fuori tempo
massimo, che ha fermato le lancette dell'orologio alla prima metà degli anni Settanta,
allor quando i nuovi orizzonti della soul music si aprivano alla stagione dell'introspezione
folk. Che lo abbia fatto di proposito e con una certa dose di malizia, o che sia
solamente il suo più naturale modo di espreimersi poco importa: Home Again
farà la gioia di chi si sente orfano di un soul dal portamento garbato e acustico,
lontano dal gesto irruente e tradizionale del linguaggio sudista (anche se le
note biografiche parlano di una folgorazione per Otis Redding…ma siamo su altri
lidi, credetemi) e più incline alla uggiosa, raffinata malinconia di personaggi
quali Terry Callier e Bill Withers.
Non a caso fra le prime occupazioni
di Kiwanuka, ancora giovane studente alla Royal Academy of Music dell'univesità
di Westminster, c'è stata quella di collaboratore di James Gadson, batterista
per il citato Withers, prima di farsi notare da Paul Butler dei Bees, che ha trascinato
Michael negli studi indipendenti sull'Isola di Wight, dando corpo a questo fortunato
debutto. Un disco che promette molto - nella strepitosa apertura intrisa di soul
psichedelico Tell Me a Tale, intreccio di
archi, fiati e dolce estasi uscita da un vecchio vinile - e che tuttavia si accascia
strada facendo su un manierismo certo di bella scrittura, ma ancora da ingrassare.
La morbidezza pop & soul di I'm Getting Ready e
Rest , gli stessi sussurri della title track
ricordano non poco i primi passi di Ray Lamontagne, versante bianco di una simile
attitudine, il quale ha saputo però nel tempo spingersi oltre il gesto imitativo
e l'incombente ombra "vanmorrisoniana", veniale peccato di gioventù.
Kiwanuka
opta al momento per una moderazione folk e un tenero gesto soul che deve forse
avere appreso dall'entourage dei Munford & Sons, avendo debuttato grazie ad una
serie di ep per la casa di produzione Communion, fondata dal musicista dei questi
ultimi Ben Lovett. L'atmosfera generale è fin troppo frenata e un po' artefatta,
una perfezione che è sicuramente sintomo di talento puro, ma anche di una ricercatezza
quasi forzata per un esordiente: il cullare retrò di Bones
strappa serenità, mentre Always Waiting sfocia
in un melodramma eccessivo, terminando la corsa con qualche affettazione di troppo
nella ridondanza di I Won't Lie. Rappresentano
a quanto sembra una parte intregrante del gusto di Home Again, anche se avremmo
egoisticamente voluto un'accelerazione nella direzione di brani quali Any
Day Will Do Fine, corpo e anima black.
Nell'edizione deluxe
un trittico di inediti, tra cui la carezza agreste e folkie di They Say I'm
Doing Just Fine e un'ulteriore sconfinamento in territori pop dal sapore vintage
con Ode to You. Attendiamo uno scatto in avanti.