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king of swamp di
Marco Poggio (17/10/2013)
Ritiratosi in una tranquilla tenuta nelle vicinanze di Nashville, tra coyote,
lupi ed uccelli, Tony Joe White sembra tuttavia non aver perso il piacere
di imbracciare la propria sei corde, complice anche un'ispirazione che, stando
alle sue stesse parole, "torna spesso a trovarlo". Un processo creativo libero
da ogni costrizione di sorta, nell'attesa che siano, appunto, le idee a palesarsi,
magari nei pressi di un fiume, o la sera sul portico di casa. Una rilassatezza
compositiva che ha contraddistinto d'altronde gran parte dell'operato discografico
del chitarrista di Oak Grove, nonché il proprio modo di suonare, quel flemmatico
swamp funk diventatone la, più che riconoscibile, cifra stilistica. E lungo la
medesima direttrice vengono oggi incisi i solchi di Hoodoo, con
una copertina, raffigurante il nostro davanti ad un rustico front porch, a rimarcarne
l'odierna, bucolica, quotidianità, ed un titolo, a rievocare, dal canto suo, il
magico tribalismo della propria, e mai dimentica, terra d'origine, la Louisiana.
Registrato in una vecchia casa in legno, adibita durante la Guerra Civile
a studio medico, secondo la filosofia del "buona la prima", Hoodoo trova proprio
nell'immediatezza priva di fronzoli, quanto nel libero fluire creativo, le sue
peculiarità, impresse su nastro in nove, ruvide, composizioni. Brani spesso dilatati
in durata, dove a risaltare è, ovviamente, la sei corde del titolare, tra classico,
melmoso, languore ed una più marcata, e distorta, visceralità, ben sostenuta da
una monolitica sezione ritmica, e alla quale fanno altresì da contraltare il fluido
spandere dell'organo e il grasso soffiare d'una armonica; come nell'opener The
Gift, richiamante, liricamente, il crocicchio di johnsoniana memoria,
con la voce di White, resa ancor più profonda e scura dalle ormai settanta primavere
trascorse, quale ideale narratrice. Le ferite aperte dai trascorsi cataclismi
naturali hanno, invece, influenzato la genesi tanto dell'ondivaga tetraggine di
The Flood, a ricordare l'inesorabile, e distruttivo,
fluire del fiume in piena, quanto di Storm Comin',
tra nervosi fuzz e lampi di pura distorsione, in un'ideale rappresentazione degli
elettrici bagliori d'un imminente uragano.
E se Alligator, Mississippi
presenta un'amena località nella quale è, perlomeno, sconsigliato soggiornare,
in Who You Gonna Hoodoo Now?, la paludosità
swampy del nostro incontra invece l'ipnotico reiterare dell'hill country blues
marchiato Junior Kimbrough. Di derivazione hookeriana è l'autobiografica 9
Foot Sack, con White a sciorinare i ricordi della propria infanzia
su di un solido boogie, mentre il rarefatto livore di Gypsy
Epilogue viene ulteriormente enfatizzato dagli intarsi melodici dell'organo
e di un, inaspettato, violoncello. Un album pregno tanto d'elettrica spigolosità,
quanto denso, oscuro, d'una lentezza a tratti esasperante, ma capace, tuttavia,
di crescere, ascolto dopo ascolto, mostrandosi infine in tutta la propria avviluppante
fascinazione.