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southern country rock di
Fabio Cerbone (05/11/2013)
Will
Hoge ha svoltato: quando la Chevy sceglie un tuo brano per la nuova campagna
pubblicitaria del pickup "Silverado" i segnali sono forti
e chiari. Strong è uno di quei midtempo rock,
come li definirebbero nelle playlist delle radio ameircane, che garantisce la
giusta dose di ruffiana melodia, elettricità e tradizione da non tradire del tutto
la strada del musicista di Nashville. Il brano ha anche gli onori di spegnere
le luci su Never Give In, ottavo capitolo di una carriera sgobbata
a fatica e con tutti i meriti, fatta di incessanti tour e una credibilità live
men che mai messa in discussione. Onore dunque al Will Hoge rocker di grana dura,
voce tremendamente soulful e anima romantica che mette d'accordo l'educazione
operaia di Bob Seger con le carezze di un ballata country.
Peccato soltanto
che la sua musica si sia fatta gradualmente più addomesticata e sensibile all'airplay,
perdendo un briciolo di sincerità e guadagnando in mestiere. Lui resta uno degli
ultimi "sentimentali" sotto la linea sudista e non deluderà mai chi chiede una
sferzata di rock stradaiolo e un motivo facile e diretto con cui struggersi, ma
certo il taglio di questi nuovi undici episodi è lontano tanto dalla sfrontata
energia di The Man Who Killed Love (ad oggi il suo disco più pepato e sudista)
quanto dalla rotondità soul rock di Draw
the Curtains, il canto della maturità. Ci ritroviamo dunque a scandagliare
sostenuti brani elettrici a metà fra paradiso e inferno, tra una A
Different Man che spinge sull'acceleratore del southern rock più colorito
e passionale (il coro black sullo sfondo aiuta ad alzare la temperatura) e una
ruffiana Never Give In che struscia lentamente
in un pop rock pronto per il prossimo passaggio radiofonico. Non ci sarebbe nulla
di sbagliato nella ricerca del gancio perfetto, un po' come se la lezione di uno
dei suoi indiscussi maestri, Tom Petty, fosse divenuta la nuova indiscutibile
bussola di Will Hoge.
Purtroppo qualità media delle canzoni, intelligenza
compositiva, spessore dei musicisti (gli Heartbreakers non sono a pannaggio di
tutti...) e visione a lungo termine non hanno lo stesso peso e i maestri restano
appunto quello che sono: punti di riferimento, mappe musicali, ma anche luoghi
distanti e inaccessibili per chi insegue. Never Give In invece è quello che è,
un gradevole dejà vù nello stile di Hoge, che comincia anche a rifare pesantemente
il verso a se stesso e alle sue smanie da languido rocker (Goodbye Ain't Always
Gone, Still Got You on My Mind), accentuando
il dovuto sul binomio chitarre-passione (Home Is Where
the Heart Breaks, Bad Ol' Days) e di tanto in tanto esagerando
con lo zucchero (This Time Around). Il percorso segue un filo rosso che
dal precedente Number
Seven al qui presente Never Give In ci racconta di un autore coccolato
dalla Nashville più mainstream (come songwriter conto terzi sta facendo decisamente
fortuna), che forse oggi passa a chiedere il conto, rendendo il rock'n'roll di
Will Hoge più innocuo e assai meno innocente: la differenza non è da poco, se
permettete.