Israel Nash Gripka
Israel Nash's Rain Plans
[Loose/ CRS
2013]

www.israelnash.com


File Under: forever Young

di Nicola Gervasini (03/10/2013)

Bisogna arrendersi all'idea che il rock (perdonatemi l'uso generalista e omnicomprensivo del termine) non sia più un'epopea comune da poter raccontare con lo stesso piglio letterario con cui si ricordano i suoi pionieri. Non è questione di fare tante filosofie sul fatto che "il rock ha già detto tutto" e che "i giovani non valgono i vecchi". Il rock, e Israel Nash Gripka ce lo conferma, è sempre lo stesso di un tempo, e continua a rispondere alle esigenze del pubblico con le stesse armi: metti l'accento sulla melodia, sul ritmo, sul suono, sulla rabbia, sulla libera espressione, sulle storie da raccontare o anche sulla bellezza del nulla ben cantato come il mondo X Factor e compagnia bella. Quale sia il rock di cui avete bisogno, gli schemi, le canzoni e i metodi restano gli stessi di sempre. E' cambiato il pubblico però. E' più ampio, anche quello di nicchia, e fagocita musica a chili grazie alle nuove piattaforme d'ascolto. Per cui il nostro ruolo va ripensato in base al fatto che chi arriva ad un autore come Isarel Nash Gripka ha già operato la sua scelta a monte. Cerca l'"autore", e soprattutto cerca i suoni a lui cari, che gli diano l'impressione che "il rock di oggi sia come quello di quarant'anni fa".

In questo senso Israel Nash's Rain Plains è un disco perfetto, "un capolavoro" si sparerà a vanvera nei commenti social, perché mette sul piatto quello che molto del pubblico "di nicchia" (perdonatemi se insistito con l'insulto) che segue anche le nostre pagine alla fin fine cerca: il nuovo Neil Young. C'è poco da fare discussioni qui dentro, se non notare lo spostamento del baricentro d'ispirazione dal Ryan Adams simulato in New York Town del 2009 e i Rolling Stones echeggiati qua e là in Barn Doors and Concrete Floors del 2011 alla musica del canadese rock per eccellenza, che qui affiora prepotente ovunque, fino ad arrivare al quasi-plagio di Rain Plans, brano che riesce in un solo colpo ad imitare tutto On The Beach usando un ritornello che ricorda Cowgirl In The Sand e una lunga coda strumentale che piacerebbe tanto al giovane Jonathan Wilson. Gripka ha pure cambiato il modo di cantare per questa operazione, usa più i falsetti e non sforza quasi mai il tono rauco della sua ugola. E imbastisce uno show tutto "acustiche West Coast" + "elettriche da cavallo pazzo" a uso e consumo dei suoi (di Gripka) e di quell'altro (Young) fans.

Poi le citazioni non finiscono lì: chissà quanti si saranno messi a canticchiare Whish You Were Here dei Pink Floyd non appena parte Iron Of The Mountain, e infine giocateci voi a scoprire quelle che non abbiamo colto. L'impressione è che Gripka ci abbia voluto coinvolgere in una sfida al "senti come sono bravo ad essere come quelli là" da cui ne esce quasi vincitore, perché alla fine la sostanza c'è, vedi brani come Woman At The Well, Just Like Water o Mansions che probabilmente vorremmo sempre sentirgli cantare nei prossimi concerti. Ma ha anche prodotto la sua opera meno personale, più al servizio del pubblico. Non è detto che sia un male, Israel Nash's Rain Plains conferma che non ci siamo sbagliati a vedere in lui un autore superiore alla massa ormai incontrollabile di questi ultimi anni, ma speriamo che per il prossimo passo si ricordi di ribadire con fierezza di essere Gripka, non Young.



    


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