Dr. John
Locked Down
[
Nonesuch 
2012]

www.nitetripper.com

File Under: funk rock, doctor's voodoo

di Fabio Cerbone (02/04/2012)

Guardatelo assorto in copertina nella maschera da autentico capo tribù del Mardi Gras: non si capisce bene se il "Dottore" abbia voglia di prendersi sul serio o di imbastire una festicciola voodoo come suo solito. Alle prime avvisaglie della title track l'arcano è svelato: scricchiolii, guaiti, rumori sinistri introducono un basso che pulsa, e insieme sono il linguaggio scelto nel 2012 da Dr. John per rivitalizzare la sua carriera, che superate ormai le settanta primavere sfoggia una nuova veste sonora, più profonda e sensuale. Denso e appiccicoso come solamente un maestro del funk di New Orleans poteva immaginare, Locked Down abita i luoghi oscuri della 'Big Easy', recupera un po' del fascino malsano e misterioso di Gris Gris, l'esordio leggendario del 1968, ma lo aggiorna con i riverberi e le palpitazioni blues moderne di Dan Auerbach. Il leader dei Black Keys è il Re Mida della situazione, toccando con mano felice l'impronta di un artista unico nel panorama delle roots americane: favorendo un ritmo al tempo stesso più carnale e febbricitante, trasferendo non poche delle intuizioni funk&soul dei recenti Black Keys dentro il vocabolario da stregone di Dr. John, è riuscito nell'impresa di svecchiare, caricare e aggiornare la lezione di quest'ultimo.

Organo, piano elettrico, farfisa stazionano al centro di questo corposo impasto funk rock: note sixties riecheggiano nel blues molesto e incalzante di Revolution, tre le spirali sinuose di Big Shot e i cori straniti e distanti che lo sommergono. Una vera sorpresa, seppure sia quanto meno ingeneroso considerare Locked Down una sorta di rinascita: chi ha seguito le gesta artistiche dell'ultimo Dr. John sa bene che questo scorcio di carriera non è stato una sorta di venerata pensione, semmai una ripresa di tematiche e ispirazioni molto fertile. In altro modo non potremmo infatti considerare lo splendido omaggio cittadino di N'Awlinz: Dis Dat or d'Udda, così come The City That Care Forgot fino al recente Tribal erano sembrate tappe di un onorevole viaggio artistico. Vero è che questa volta Locked Down abbandona un poco di convenzionalità e di nostalgia che nonostante tutto avvolgeva quei lavori, e tutto ciò senza rinnegare affatto la storia passata. È questo il reale successo di Auerbach e della accolita di musicisti, molti di estrazione garage rock o punk blues (dall'amico Brian Olive a Max Weissenfeldt e Nick Movshon), riuniti negli studi personali Easy Eye Sound di Nashville.

I due si sono conosciuti e frequentati a vicenda a partire dal 2010, hanno fatto le prove generali sul palco del Bonnaroo Festival e si sono decisi a incrociare i loro destini nella convinzione che la cura Dan Auerbach potesse davvero leggere sotto un'altra ottica il groove del Dottore. Così è avvenuto: tra i sermoni e le visioni, molto singolari va detto, cantate da Dr John si incastrano con compiutezza il serpeggiare di Ice Age, miracolo di moderne vibrazioni ritmiche e sovrapposizioni fra chitarre e tastiere dal timbro sixties. Anche Getaway e Kingdom of Izzness seguono questo filone, dando spesso rilevanza ai tremolii e agli echi delle chitarre dello stesso Auerbach, eppure non dimenticandosi della fondamentale spinta dello stesso canto di Dr. John. Non mancano all'appello i fiati e in particolare un roboante sax baritono a spargere semi che lambiscono territori inusitati, come nell'afrobeat di You Lie, introduzione blues che presto devia sui sentieri dell'ossessiva frase dettata dalle radici africane. Le voci delle McCrary Sisters, spesso trattate in maniera per nulla convenzionale dalla produzione, sono infine il tocco dolceamaro che si muove con scioltezza fra il funk recitato in chiave voodoo di Eleggua e lo splendido finale in odore di classico soul psichedelico e scosse r&b di My Children, My Angels (un tuffo nei primi anni Settanta) e della preghiera pagana God's So Good.

Locked Down ne esce così come un vero trionfo di suoni spessi, stratificazioni ritmiche, rintocchi dove lo stesso Mac Rebennack, in arte Dr. John, si immerge seguendo nient'altro che l'istinto e sfruttando una concisione che è la vera forza dell'album.



   


<Credits>