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Americana, pop rock di
Fabio Cerbone (01/08/2012)
La
madre siede al piano intonando inni gospel, mentre il padre predicatore si occupa
di salvare le anime. Nel mezzo ci scappa qualche canzone di Johnny Cash. Un giorno,
infine, arriva un vecchio zio musicista (ce n'è sempre uno in ogni buona famiglia
che si rispetti, per lo meno fra chi è cresciuto in paesini rurali del Minnesota
e del Wisconsin) e porta in dono qualche diabolica canzone blues. Il gioco è fatto:
il piccolo ragazzo non sa più da che parte stare perchè tutto gli appare irrimediabilmente
grande american music. Archetipo, storia infarcita di aneddoti o vera cronaca
poco importa, Cory Chisel si è già conquistato le nostre simpatie. D'altronde
ha scelto non a caso di ribattezzare il suo album Old Believers,
come a mettere una barriera a protezione della sua anima di musicista, giovane
e figlio del suo tempo, ma con più di una speranza che appartiene al passato.
La musica imbastita con i Wandering Sons peraltro non mente: è Americana
nel cuore senza suonare per forza di cose antiquata, con quel piglio melodico
che rende queste elegiache ballate una via di mezzo fra un Ryan Adams in veste
soul e un Tom Petty più rustico. Molto si deve probabilmente alla produzione di
Brendan Benson (l'altra metà dei Raconteurs con Jack White) e allo spiccato
gusto pop di quest'ultimo, uno che sa come riempire gli spazi, come dare respiro
alle canzoni, pur nella loro struttura classica ed essenzialmente folkie. Ne scaturisce
un secondo episodio (l'esordio nel 2009 con Death Won't Send a Letter, già apprezzato
a livello indipendente) che trascina Cory Chisel sotto i riflettori, con qualche
chance in più di diventare una 'next big thing' tra i folksinger che ruotano attorno
alla moderna canzone d'autore americana. I numeri ci sono tutti e le presenze
di Jon Graboff e Brad Pemberton dai Cardinals di Ryan Adams sembrano essere l'anello
di congiunzione o forse meglio la santificazione di un preciso legame artistico.
L'immaginario e il suono dei Wandering Sons è esattamente quello, magari
con qualche accento sudista in più (I've Been Accused
ha un tocco southern soul nelle sue vene rock e anche nelle inflessioni vocali
di Chisel ricorda il collega Will Hoge) ma soprattutto una seconda voce femminile
(l'inseparabile Adriel Denae al piano e tastiere, che ha l'onore di aprire
la scaletta con il breve spunto di This Is How It Goes) che sostiene e
offre scappatoie all'interpretazione dello stesso Cory Chisel.
Senza numeri
eccezionali, ma con canzoni solide, piene zeppe di rimandi e soprattutto sfaccettate,
Old Believers nasce nel Midwest, viene registrato a Nashville ma non disdegna
idealmente qualche puntata a Memphis e in California: Old
Love e Never Meant to Love You,
ad esempio, indugiano fra sobbalzi country e dolci melodie agresti che paiono
provenire direttamente dall'alba dei seventies, prima che la situazione si faccia
più appassionata nel bruciante soul rock di Please Teel
Me e Foxgloves, Laura
si sciolga in mare di malinconia pianistica e She Don't
Mind si strugga fra archi e corde acustiche appena pizzicate. La varietà
dunque è garantita e Cory Chisel può giostrare l'intera gamma delle sue tematiche
intimiste, nel solco di un autentico songwriter. Un disco di ricostruzioni e ripartenze
dice lui, fra nostalgia e impellente necessità di crescere: ce lo ricorda a fasi
alterne nel cupo folk rock di Time Won't Change,
con un fiddle dalla cadenza rurale, e nella dolcissima ballata pop Seventeen,
anche se il vero colpo di teatro lo riserva il finale di Wood
Drake, incantevole preghiera che ripete il semplice mantra "I need
your soul so bad". La produzione di Benson lavora per accumulo ma senza eccessi,
una struttura blues in minore imbarca una melodia dall'accento sixties, mentre
un basso pulsa un ritmo vagamente dub e si apre alla drammaticità degli archi.