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brit-folk di
Fabio Cerbone (01/03/2013)
Si
è capito ormai che Anaïs Mitchell non si accontenta di essere catalogata
come una della tante, pur brave, nuove voci femminili del folk americano. Il suo
lavoro di ricerca musicale e testuale la distingue per il coraggio mostrato, la
curiosità innata, l'idea di una costante sfida, restando comunque nell'alveo della
più autentica tradizione, come se fosse proiettata un passo indietro per farne
due in avanti. Se Hadestown
era una "folk opera" ambiziosa e corale, per nulla pedante nelle sue
ambizioni quasi epiche e fantasiose; se Young
Man in America mostrava persino intenzioni letterarie ereditate dal
padre e una cifra musicale vicina al sentire Americana; oggi Child Ballads
è solamente un'altra tappa, la più austera, dell'affascinante viaggio dell'autrice
del Vermont. In questa occasione più che mai intenzionata a mostrare il suo rapporto
sentimentale con il mondo del british folk, la Mitchell si è lasciata conquistare
da un libro, The English and Scottish Popular Ballads, di Sir Francis James
Child, raccolta di storie e leggende di fine Ottocento che proiettano la loro
ombra sul presente, come soltanto i classici universali possono fare.
Non
si confonda dunque il titolo con una presunta ripresa di antiche filastrocche
per bambini: quel Child Ballads indica l'autore e l'antologia che le hanno ispirate,
riviste e corrette secondo la sensibilità di Anais e del partener artistico, il
chitarrista ed ex Great American Taxi (band roots del Colorado) Jefferson Hamer.
Un side project che ha preso una via inattesa e si è sviluppato attraverso un
percorso di costante messa in discussione: salpati elettrici e con intenzioni
da full band, convertiti quindi alla semplicità delle armonie acustiche, Anais
Mitchell e Jefferson Hamer hanno scelto la dolcezza e i rintocchi di ballate folk
adamantine, in cui l'intreccio delle voci, il timbro cristallino delle chitarre,
gli abbellimenti dell'accordion e dell'organo di Tim Lauer (Civil Wars) bastano
a riflettere l'anima di Willie of Winsbury
e i sobbalzi di Willie's Lady. Inutile quasi
sottolineare come l'esempio di Fairport Convention, Sandy Denny e Martin Carthy
(galeotto fu, come dice la stessa Mitchell, il suo album Crown of Horn)
sia stato la bussola di queste registrazioni (completate dalla presenza del basso
di Victor Krauss e dal fiddle di Brittany Haas dei Crooked Still).
Lo
spirito più arcaico, inesplicabile, favolistico di quella musica, persa fra sovrannaturale
e presente, si riflette nella soavità delle melodie di Sir
Patrick Spens e Riddles Wisely Exounded,
dove le voci dei due protagonisti si rincorrono con una pacifica serenità. Rivelatore
è stato il lavoro di intreccio e scrematura delle liriche, che sono state infatti
assemblate prendendo diverse versioni della stessa canzone, cercando quindi di
attualizzarne il linguaggio alla modernità, così da spogliare Child Ballads di
qualsiasi intento puramente formale o accademico. Qui ci sono versi e musiche
che parlano un vocabolario assolutamente universale, seppure giungendo a noi da
trascorsi mitizzati: l'operazione, delicatissima eppure naturale nella sue resa
complessiva, evoca la passione folk dei sixties senza la pedanteria di certe teche
da museo. Queste sette ballate (ma lunghe e intense, per quaranta minuti che chiedono
solo di abbandonarsi al loro trasporto) sono vivissime ed esaltano sia l'indonfondibile,
fanciullesca vocalità di Anais Mitchell (commevente in Clyde
Waters), sia il pregevolisismo ordito acustico in coppia con Hamer
(Geordie). Una rarità che dischi di questa
pasta e profondità appaiano ancora nel 2013, non facciamoceli sfuggire con l'idea
che siano soltanto opere di salvaguardia della memoria.