File Under:folk,
singer-songwriter di
Marco Restelli (29/06/2012)
Ci
sono album nei quali alcuni artisti concentrano tutto il dolore, vissuto sulla
propria pelle in un particolare periodo della vita, a causa della fine di un amore
o per la perdita di un affetto. Spesso, a dire il vero, proprio quei dischi finiscono
per essere fra i più significativi della loro carriera, forse perché l'aspetto
più propriamente commerciale passa in secondo piano e tende ad emergere piuttosto
la voglia di comunicare la propria rabbia o frustrazione, tentando di esorcizzare
il male e di parare alla meno peggio "il colpo subito". Sin dal programmatico
titolo (Ashes and Roses…come dire….sconfitta e speranza), Mary
Chapin Carpenter ci presenta il suo undicesimo cd di inediti collocandosi
proprio nella dimensione sopra descritta, che ben si evidenzia sia nei testi sia
nel mood del sound, costituito quasi totalmente da ballate introspettive, alternativamente
"mid" o (a volte anche "very") "low" tempo.
Il dolore della cantautrice
americana è dovuto al naufragio del suo matrimonio nel quale aveva investito tutta
sé stessa ed al riguardo la canzone chiave, nella quale tutto esonda come un fiume
traboccante di rimorsi e rimpianti, è Chasing what's
already gone (half your life you pay it no attention, the
rest you can't stop wondering what you should have done instead of chasing what's
already gone). Malinconica. In altri pezzi è ancora il titolo a fungere da
bandiera dei contenuti, come in Don't need much to be
happy (lenta, acustica, solo voce e chitarra) o l'affascinante Fading
away (a mio avviso fra i suoi pezzi più belli di sempre). Un barlume
di positività esce invece nel bellissimo duetto di Soul
Companion, con il mitico James Taylor che, come il buon vino,
continua a migliorare col passare degli anni. Il ritmo, leggermente più alto,
e le due chitarre acustiche dei protagonisti fanno da sfondo a un testo proiettato
verso la speranza che, prima o poi, la vita possa farci trovare veramente quell'anima
gemella, per la quale il fatidico "sì" possa intendersi, reciprocamente, "per
sempre". Fortuna che evidentemente a lei non è toccata, ma che almeno non dispera
di avere in futuro.
Detto del clima generale che domina i vari brani,
c'è da sottolineare che la qualità delle melodie, spesso notevole, in alcuni rari
brani (soprattutto le iniziali Trascendental reunion
e What to keep and what to throw away) risulta
un po' troppo monocorde dato che, praticamente, non decollano mai. Ma il giudizio
sull'album resta comunque molto positivo, e seppur non si tratti del migliore
in assoluto di Mary Chapin, lascerà certamente un segno nella sua già solida discografia,
anche sulla base delle considerazioni fatte nell'introduzione. Vi consigliamo
di ascoltarlo in questo finale di primavera, per poi rimetterlo su ad ottobre
e farvi coccolare nelle prime grigie giornate di pioggia autunnali o, magari un
po' più in là, lasciarvi allietare il capodanno dalle dolci note di una sognante
New Year's day.