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Americana with soul feeling di
Fabio Cerbone (27/04/2012)
Battezzato
artisticamente fra i bayou di New Orleans (a cui dedicò un intero disco nel 2009)
e cresciuto sotto l'ala protrettrice di Anders Osborne (sorta di mentore, ma soprattutto
produttore dei suoi esordi), Clarence Bucaro ha errato senza una precisa
meta per diverse stagioni. Se infatti il debutto Sweet
Corn aveva scelto un preciso campo estetico e sonoro, evocando da una
parte la Big Easy e dall'altra il country blues rurale di Mississippi John Hurt
(magari filtrato dall'esperienza di Ry Cooder), i passi successivi avevano di
volta in volta smussato gli spigoli, seguendo Bucaro nelle sue pegerinazioni verso
la California, fino alla nuova casa in quel di Brooklyn, New York. Ecco dunque
le ballate all'insegna di un adulto pop rock, la sensibilità west coast rubata
a Jackson Browne, certe raffinate sfumature soul da scuola Motown e via di questo
passo. Ottime referenze, sia ben chiaro, ma anche sintomo di una ispirazione un
po' ondivaga o forse soltanto di una voglia di metteresi in gioco che spesso non
portava da nessuna parte.
Walls of the World in tal senso
mette un po' di ordine: innanzi tutto sancisce il distacco definitivo dall'aria
umidiccia e dalle roots di New Orleans, dirottando le canzoni di Bucaro verso
un elegante Americana d'autore, fra rock rotondi e melodiosi e qualche strizzatina
alla modernità. Merito della nuova produzione divisa a metà fra Hector Castillo
(curriculum pesante che comprende David Bowie, Lou Reed e Rufus Wainwright) e
il più contemporaneo Chocolate Genius (l'anima black del disco, per sintetizzare),
a cui andrebbe aggiunto il missaggio del maestro Tchad Blake. Dal lavoro di squadra
emergono le tensioni elettriche di Two Men Down
e l'ariosa ballad Dangerous Secret: la prima
è dedicata ai reporter di guerra Tim Hetherington e Chris Hondros, caduti nella
recente sommossa in Libia, la seconda è scritta a quattro mani con una vecchia
conoscenza, Freedy Johnston. Entrambe introducono al tema centrale dell'album:
i muri eretti nel mondo come metafora (spesso concreta, purtroppo) della incominicabilità
fra i popoli e le singole persone.
Frutto di una serie recente di viaggi
affrontati da Bucaro in Medio Oriente, Cuba, Marocco e Russia, alimentato da letture
ad hoc, Walls of the World ha insomma la velleità di approfondire l'età adulta
dell'artista, oggi diventato anche padre. Di solito operazioni simili nascondono
un'eccessiva ambizione, quando non una vera mancanza di pudore: qui Clarence Bucaro
sembra invece essersi abilmente trattenuto, evitando i sermoni e cercando piuttosto
una certa introspezione. Il disco allora scivola via con classe, tra una Malibu
e una It's Only Love che stazionano fra la
leggerezza intelligente di Ron Sexsmith e il pop rock di Tom Petty, qualche dolce
malizia in Same Small Threads, una serpeggiante,
bluesy Child of War (dedicata al nascituro
di casa Bucaro e al mondo che dovrà affrontare) e un finale accomodante, con la
pianistica, carezzevole Bright Lights of Home e
la stessa Walls of the World, forse il piccolo
gioiello dell'intero disco, preghiera smooth soul che sbircia ammaliata il migliore
Bill Withers dei primi anni Settanta.