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southern rock, garage soul di
Fabio Cerbone (01/06/2012)
Il
grasso del Mississippi e la sabbia di Detroit: mescolate il rozzo impasto e imbrattate
i muri di uno studio di registrazione, facendo finta che una punk band di teppistelli
sudisti abbia perso la bussola, finendo dalle parti di Muscle Shoals, Alabama.
Non sarà esattamente un'immagine romantica, ma rende bene l'idea della sporcizia
southern rock che si amalgama con la formazione garagista e il verbo soul nei
Glory Fires, quartetto che si impernia sul songwriting di Lee Bains
e staziona dalle parti di Birmingham. La stampa locale su di loro ha scritto già
fiumi di inchiostro e il nome comincia viaggiare ben oltre l'orizzonte ristretto
della confederazione: sono partiti in tour con il nuovo fenomeno Alabama Shakes,
ma tanto per ribadire il luogo comune sulla critica un po' snob, vi dico subito
che questi sconosciuti "mascalzoni", messi sotto contratto dalla battagliera etichetta
Alive, hanno numeri, canzoni, chitarre e senso della storia ben più marcati dei
loro illustri colleghi.
Bains arriva d'altronde dalla scuola Dexateens
(ha fatto parte dell'ultima line-up), una piccola leggenda dalle parti di Tuscaloosa,
rock'n'roll band che ha ruotato nella sfera dei Drive By Truckers (Patterson Hood
fu un loro grande sponsor e produsse persino l'ottimo Hardwire
Healing) e che ha raccolto meno meriti di quanto ha seminato. Dopo
tre anni di vita sulla strada, Bains ha sciolto i legami nel 2011, lasciando il
campo libero all'avventura dei Glory Files: con una smaccata impronta soul e un
retaggio tradizionale più accentuato (attenzione però: Ain't
No Stranger e la furiosa Centreville
aprono con i fuochi d'artificio), Lee Bains e la sua congrega decollano dal nuovo
linguaggio che il roots rock sudista ha saputo reinventare in queste stagioni,
passando tra le maglie di produttori e ingegneri del suono come Lynn Bridges e
Jim Diamond, i quali vantano certamente un curriculum punk (da Jack Oblivian ai
The Dirtbombs fino ai New Bomb Turks), eppure una sensibilità che sa come scuotere
e riverire al tempo stesso il passato. La formula è quella del Memphis sound aggiornato
ai tempi nostri dei Lucero, o ancora meglio dei citati Drive-By Truckers in forma
più melodica, passando soprattutto per il recente Jason Isbell solista (la spolverata
country in Reba).
Converrebbe partire
dal fondo per saggiare direttamente questo filo rosso che dal southern soul d'annata
arriva ai giorni nostri: There is a Bomb in Gilead,
brano guida che storpia la frase di un inno gospel captato dal Lee Bains ragazzino,
è una ballata con lo stampo del classico, indolente come insegnano i maestri Dan
Penn e Spooner Oldham, mentre i Glory Fires (Blake Williamson ai tamburi, Justin
Colburn al basso e Matt Wurtele alle chitarre) ricamano un suono spartano e rigorosamente
live. Tutto l'album è giocato su questa tensione molto grezza, caldi riveberi
su strumenti e voci, sporcizia d'esecuzione, intrecci fra chitarre punk rock e
spirito rubato alla leggenda degli studi Fame. Lo sbocco non è necessariamente
un disco per nostalgici, tutt'altro: se Everything You
Took è un altra ode al tempio del r&b, Righteous,
Ragged Songs una lenta fiammata southern rock e Choctaw
Summer uno squisito swamp blues al rallentatore, vi sono momenti di
abbandono elettrico che non mentono sulla formazione dei musicisti (The
Red, Red Dirt of Home, la caciara di Magic
City Stomp!). A offrire infine il forte senso di regionalità di questa
musica ci pensa lo stesso Lee Bains, che allarga lo sguardo sul panorama e la
gente che lo circondano, raccontando alla sua maniera il Sud che ha assimilato
dentro di sé.