Un altro album di Willie
Nelson? E perché no, si potrebbe rispondere alla domanda già di per
sé un poco retorica. L’importante è che l’ispirazione si dimostri ancora
brillante come in occasione di questo The Border, sebbene
siano diventate persino stucchevoli le statistiche sul numero di pubblicazioni
in carriera (i più informati pare ne abbiano contate 75, limitandosi soltanto
ai dischi di studio, delle quali ben 7 a partire dal 2020) e sull’età
stessa del protagonista, che entrato nel nono decennio della sua esistenza
non vede ragioni per smettere proprio adesso (e chi siamo noi d’altronde
per arrogarci il diritto di chiederglielo?).
Così il binomio artistico con il produttore Buddy Cannon si rinnova, a
caccia di canzoni originali che i due scrivono spalla a spalla, nonché
scandagliando il songbook di più e meno giovani colleghi, ai quali Nelson
sembra chiedere una suggestione, un verso, un’immagine per renderle proprie
e interpretarle attraverso quella voce che, invecchiata certamente, conserva
comunque il suo fraseggio inconfodibile, quel portamento da texano che
swinga leggero e nobile fra tradizione country e languori western.
Si potrebbe partire dal fondo questa volta, per comprendere le ragioni
dell’infinito viaggio musicale di Willie Nelson, anche a novantuno anni
compiuti, quando in How Much Does It Cost,
riflettendo sempre sullo scorrere del tempo e cosa lasciare in eredità
su questa terra, canta “'Cause I'm a songwriter and always will be/
But how much does it cost to be free?”, giocando sulla sua figura
di icona della country music, una carriera interminabile affrontata a
viso aperto, imponendo le sue regole. Ma è tutto l’album a flirtare con
il suo mito, come non potrebbe essere altrimenti, scegliendo gli orizzonti
di speranza e dolore nella stessa The Border,
danza accorata sul confine messicano che arriva dal recente repertorio
di Rodney Crowell e alla quale è affidata l’apertura del disco, diviso
fra romanticherie, ballate d’amore e di ricordi, omaggi alla terra che
lo ha allevato e alla musica che lo ha segnato.
Con una chitarra del protagonista più presente, l’inseparabile Trigger,
e un contorno che alterna sentimentalismo e lievità, The Border
offre, tra gli originali, l’accoppaiata di Once Upon a Yesterday e
What If I'm Out of My Mind, soffiando sulla nostalgia, e si lancia
quindi nell’heartland sonoro di una notevole Kiss
Me When You're Through, dove ermege il sospiro dell’armonica
di Mickey Raphael, partner irrinunciabile di mille incisioni. È ancora
il canzoniere di Rodney Crowell a concedere l’agrodolce tono crepuscolare
della ballad Many a Long & Lonesome Highway,
mentre Hank's Guitar, firmata da Cannon con Bobby Tomberlin, è
il racconto di un sogno che solletica la leggenda del country, introducendo
poi alla rievocazione di Bob Wills e del peculiare linguaggio dello western
swing con Made in Texas, scopiettante brano scritto da Shawn Camp,
talento al quale più volte Nelson si è rivolto in questi anni.
Il finale di un disco breve, coerente, con tutto l’amore e il mestiere
che può esprimere un musicista con questa storia alle spalle, assume ancora
i colori di un dolce tramonto, affidandosi al romanticismo di Nobody
Knows Me Like You e alla citata ammissione di How Much Does It
Cost. Registrane un altro Willie!