Una voce che è uno squarcio
nei cieli dell’Americana, Taylor McCall al secondo album in carriera
centra in pieno il bersaglio, offrendo un disco di dense ballate dove
country, rock, gospel e riverberi sudisti si coalizzano per raccontare
una storia ispirata dalle sue radici famigliari. In copertina, infatti,
è ritratto il nonno di Taylor, colto in uno scatto di molti anni fa, durante
la guerra del Vietnam. Alla figura di quest’uomo è ispirato in qualche
modo l’intero ciclo di canzoni di Mellow War, a partire
dal brano omonimo, che è stato la scintilla che ha dato il via all’intera
costruzione del disco. Un legame di vita e di valori che Taylor McCall
aveva già ribadito nel suo precedente lavoro, quel Black Powder Soul
che aveva contribuito a segnalare questo giovane songwriter - originario
di Greenville, South Carolina e trasferitosi nella natura selvaggia del
Montana per inseguire le sue passioni per la pesca e l’escursionismo -
sull’estesa mappa dei talenti dell’attuale scena roots d’autore.
Se quell’album esprimeva un suono un po’ gotico e intriso di riferimenti
a Johnny Cash e a certo suono outlaw ed elettrico, Mellow War sembra
un affare molto più spirituale, nel quale contano i silenzi, i rintocchi
acustici della chitarra del protagonista, ma anche le ambientazioni swamp
e il controcanto soul che il produttore Sean McConnell e i musicisti incontrati
a Nashville hanno saputo offrire al protagonista. Resta infine da parlare
di quella voce, non esattamente un dettaglio, che Taylor McCall riesce
ad esaltare proprio immersa nelle cadenze risonanti di queste ballate,
introdotte dalle note distanti di una Sinking Sand che pare captata
per caso tra le scariche statiche alla radio e poi liberate dalla forza
della stessa Mellow War.
Il calore dell’incisione e l’intensità dell’interprete sono gettate in
primo piano, sfruttando al massimo la potenza con il minimo indispensabile
degli arrangiamenti: una chitarra, un accenno del pianoforte o dell’organo,
i cori che sorreggono e innalzano la melodia, come accade in Rest
on Easy, altro episodio che Taylor McCall ha immaginato come
lettera spedita dal fronte, evocazione di chi non è più tornato a casa
da una qualsiasi delle maledette guerre che si sono succedute nel tempo.
Storia che si ripete ed è facile soprattutto associare a chi, come McCall,
arriva da quella provincia che ha dato molto e ricevuto ben poco in cambio
dal suo paese, finendo per cercare conforto e annullarsi nelle “cure”
di qualche additivo, dal racconto acustico e struggente di una Rolling
Stoned Again che ricorda l’intensità di certo Chris Stapleton,
all’enfasi dark blues di Whiskey Costs Less, la traccia più “esplosiva”
nel sound insieme a una Hard to Love You gonfiata dagli archi e
dalla sua anima soul settantesca.
Su queste dinamiche è costruito tutto il coinvolgimento sentimentale e
tematico di Mellow War, album che sa di racconto country bagnato
nelle acque benedette della southern music e del gospel, così come si
manifestano in Star of the Morning e Angel Falling Down,
oppure in una Tide of Love attraversata
da fremiti swamp che mettono insieme il tremolo della chitarra di Pop
Staples con le paludi di Tony Joe White, mentre Born Again divaga
con la sua chitarra acustica sui sentieri dei Grateful Dead più bucolici
e You To Blame si permette di dare il benservito al romanzo famigliare
di Taylor McCall con un capitolo finale che si appoggia all’indifesa delicatezza
di voce e chitarra acustica, avvolti in un lenzuolo di archi. La prima
grande rivelazione Americana di questo 2024.