Quel passato
“ancora vivo” richiama a sé Alynda Segarra, cuore e anima dietro l’appellativo
di Hurray for the Riff Raff, un bagaglio di volti ed esperienze
personali che hanno rappresentato la sua crescita come individuo e come
artista (la musicista si definisce persona non-binaria e da sempre è impegnata
sul fronte dei diritti civili delle comunità più escluse), dalle strade
del Bronx a quelle dell’infinita e contradditoria America contemporanea.
Non è un caso che The Past is Still Alive si chiuda con
la voce del padre Jose, scomparso poco prima della realizzazione dell’album,
colta in un intenso e tenero minuto di conversazione telefonica con Alynda
(Kiko Forever).
The Past is Still Alive parla di chi non c’è più e di chi abbiamo
lasciato andare, eppure ci accompagna ancora con la sua impronta esistenziale,
parla di memoria e di crescita, di passaggi del tempo in un’epoca caotica,
rivolgendosi a un paese, gli Stati Uniti, che Alynda ha attraversato con
lo spirito affamato di una nomade dell’esistenza, figlia di portoricani
fuggita di casa a diciasette anni e diventata una musicista adulta fra
i quartieri di New Orleans e gli studi di registrazione di Nashville.
Una caparbietà e un’ambizione intrecciate fra loro, che dai giorni dell’indipendenza
avevano portato fino allo splendido esordio in casa Nonesuch con The
Navigator, un desiderio esplicito di sperimentare e di allargare le
maglie della sua formazione folk-roots, lo stesso che aveva forse raggiunto
il limite creativo e la beata confusione di Life
on Earth, per tornare adesso a casa, nell’opera evidentemente più
intima e concisa della sua carriera.
La fragile limpidezza di Alibi introduce
la ritrovata poetica della Segarra, un miracoloso e quanto mai semplice
compromesso (ma di certo non al ribasso) tra il linguaggio fuori del tempo
della folk music e l’attualità dell’Americana e dell’indie rock, elementi
che il produttore Brad Cook non fa mai scontrare, piuttosto rendendoli
una voce sola, con la naturalezza che Hurray for the Raff Raff lascia
trasparire quasi in maniera indifesa dal suo canto, dal gentile cullare
rootsy di Buffalo al pulsare più urbano ed elettrico di Hawkmoon.
L’equilibrio possiede qualcosa di magico e l’apparente uniformità del
suono (al quale offrono un contributo essenziale il polistrumentista e
fratello del citato Brad, Phil Cook, la steel guitar di Mike Mogis e i
sassofoni di Matt Douglas, questi ultimi a creare il “muro di suono” della
conclusiva Ogallala) non è affatto
un ostacolo quanto l’espressione degli stessi sentimenti di Alynda Segarra,
mai così esposta in prima persona nelle liriche.
Breve nella durata, coerente nella sua forma poetica e musicale, The
Past is Still Alive attraversa battaglie personali e passaggi chiave
della vita mettendoli a confronto con l’America confusa e in decadenza
là fuori (Colossus of Roads), esprimendo
un sound delicato e denso allo stesso tempo: dalla slide guitar dell’ospite
Meg Duffy che fende l’aria in una Vetiver innervata di elettricità
al contegno folk di una dolcissima Hourglass, dalle ritrovate fragranze
country di Dynamo (in duetto con la
collega S.G. Goodman) alla seconda voce di Conor Oberst (Bright Eyes)
che raddoppia e accarezza quella di Hurray for the Riff Raff passeggiando
sul velluto di The World is Dangerous, The Past is Still Alive
si muove con grazia tra i mille contrasti del presente, offrendo le stesse
possibilità sia al contenuto delle sue parole sia alla leggiadria della
sua musica.