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The Hard Quartet
The Hard Quartet
[Matador/ Self 2024]

Sulla rete: thehardquartet.com

File Under: indie-rock supergroup


di Domenico Grio (01/11/2024)

Si sono cercati a lungo nel corso delle loro carriere Stephen Malkmus (co-fondatore dei Pavement), Matt Sweeney (chitarra e voce degli Chavez e dei Superwolf) e Jim White (batterista e cantautore fedelissimo, tra gli altri, di Cat Power e Bill Callahan). Ce lo raccontano loro stessi nelle note stampa di questo disco, quasi a voler giustificare e, al contempo, “normalizzare” una scelta, quella di tirare fuori un progetto condiviso, che ha inevitabilmente sorpreso i più.

Resta il fatto che, al di là dei falsi tentativi di far passare l’evento come una semplice riunione tra amici, questo favoloso connubio artistico è destinato a scatenare i sogni aurei di una generazione orfana dell’indie rock più cool degli anni Novanta. Tanto più se, come pare, l’ambizione vera di questo Hard Quartet sia quella di stabilizzarsi, di superare l’estemporaneità dell’accadimento e costituirsi come un “corpus” unico che “strilla con una sola voce”, come ciò che, un tempo non troppo lontano, in cui si viveva di slanci romantici ed impetuosi, si soleva definire “band”. Se poi a questo già gaudente quadro aggiungiamo che il trio è in realtà, come da titolo, un quartetto e che il membro aggiunto è Emmett Kelly, altro pezzo grosso del circuito alternativo (The Cairo Gang, Bonnie Prince Billy, Ty Segall), accolto a bordo dal buon Stephen (“di recente Emmett mi ha fatto una grande impressione, mi ha dato l’idea su come cambiare il mio modo di suonare”), è evidente che la questione si fa oltremodo interessante.

Ora però tutto ciò sarebbe ben poca cosa se la costituzione di questa super lega portasse in dote, come sovente accaduto per casi similari, graziosi esercizi di stile e poco altro, ragion per cui la notizia che davvero rileva è che quello che ci troviamo tra le mani, è il caso di dirlo subito, è un album importante, ben organizzato e pure svincolato da preconcetti stilistici, che vive coraggiosamente delle suggestioni del recente passato, senza scadere in infeconde nostalgie. Un disco in cui ogni protagonista interviene su base paritaria, portando in dote le proprie vibrazioni, la propria sensibilità e le sue molteplici esperienze, con l’obiettivo di ampliare la gamma cromatica e rifuggire da paesaggi statici o, peggio ancora, monocorde.

Tante chitarre, come è facile immaginare, che fanno da assolute protagoniste in quello che, a ben guardare, è una sorta di viaggio sonico che si snoda da una costa all’altra degli States, privilegiando da un lato i paesaggi metropolitani e, dall’altro, i sentieri di un’America rurale in cui tradizione e deviazioni iconoclaste spesso coesistono. Da New York a San Francisco e Los Angeles, dal Midwest a Seattle, dai college ai marciapiedi a dissertare di guerre, droghe e di un’umanità che è votata, suo malgrado, alla resistenza, a perfezionare, giorno per giorno, l’arte della sopravvivenza. Quindici brani che puntano all’essenza, muovendosi tra il garage glam noise di Chrome Mess, rutilante brano d’apertura, tra il punk integralista di Renegade e il jingle jungle di Our Hometown Boy, tra l’alternative country di Killed by Dead, il grunge di It Suits You, le melodie morbide alla Wilco di Hey o, ancora, tra il classic rock di Rio’s Song e Action For Military Boys e il blues dissonante di Thug Dynasty.

Echi di Sonic Youth, di Velvet Underground, di Bowie, di Eels, di Husker Du, sparsi ovunque, la voce di Stephen che è un pregiato marchio di fabbrica, il drumming di Jim che è fuori concorso, i riff di Matt ed Emmett che suturano, millimetro per millimetro, il tessuto sonoro. Ogni episodio è esattamente come deve essere, per i suoni, per l’efficacia melodica, per l’impatto scenico e persino nei passaggi all’apparenza meno riusciti, ad esempio Six Deaf Rats, lunga marcia un po' disarticolata, si rinvengono spunti di alta classe. Roba, con i tempi che corrono, da stropicciarsi gli occhi. In estrema sintesi: Hard Quartet è un disco di cui, in questo momento, non è consentito fare a meno.


    



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