Cominciano a fare sul serio
i Bonny Light Horseman, con la bellezza di venti canzoni che si
espandono sulle quattro facciate di un doppio album. È evidentemente una
provocazione quella che scrivo, perché l’intensità dell’incontro artistico
fra Anaïs Mitchell, Eric D. Johnson e Josh Kaufman era chiara fin dal
principio, da quell’omonimo
esordio che rileggeva la tradizione folk posando lo sguardo sul presente,
con le stratificazioni sonore e la pastosità armonica delle voci che ne
aumentavano il fascino e le ambizioni, anche nel successivo Rolling
Golden Holy.
Keep Me on Your Mind/See You Free - due dischi in uno, potremmo
affermare, e due produzioni che si sovrappongono nel loro concepimento
- rappresenta un traguardo che si fonda ancora su quella ricerca folk
nella lontana Europa, qui più che mai simboleggiata dalla scelta della
band di incidere parte dell’album in un vecchio pub nominato Levis Corner
House, presso il villaggio costiero di Ballydehob, nella contea di Cork,
Irlanda. Idea suggestiva e trait d’union perfetto per la narrazione musicale
dei Bonny Light Horseman, che vi hanno trovato quel senso di naturalezza
e di comunità che andavano cercando per le loro canzoni, compreso il vociare
della gente del luogo e l’approvazione entusiasta del gestore, che li
ha lasciati disporre strumenti e microfoni nella sala.
Completato nella campagna americana di Woodstock e dintorni, dove sono
situati i Dreamland Recording Studios che hanno già visto protagonisti
i Bonny light Horseman in passato, Keep Me on Your Mind/See You Fre
ha preso così la forma di un lungo sogno ad occhi aperti, dove tutte le
caratteristiche del suono del trio sembrano emergere con una vitalità
a tratti più pop ed estatica, altre volte più fedele all’anima acustica
e incentrata sull’eredità delle antiche folk ballad, così come sono state
traghettate nel Nuovo Mondo. Definito nelle note di presentazione come
una sorta di “ inno al benedetto disordine della nostra umanità”, Keep
Me on Your Mind/See You Free altro non è che un viaggio nei sentimenti
universali, che temi come l’amore e la perdita, i desideri e la sofferenza,
la famiglia e la maternità possono generare nelle persone, qui resi in
quella specie di cristallina estasi folk rock della quale i Bonny Light
Horseman sembrano essere diventati dei maestri di delicatezza e cruda
sincerità al tempo stesso.
Il miele dolciastro delle voci di Anaïs Mitchell e Eric D. Johnson in
Lover Take It Easy e I Know You Know sono
il collante di questa sensibilità musicale, mentre Kaufman è l’architetto
sonoro che grazie alla sua esperienza di produttore trova i ricami più
adatti per l’ordito del gruppo, che si avvale della sezione ritmica formata
dai fedeli JT Bates (batteria) e Cameron Ralston (basso), e ricorre volentieri
ai contributi di Mike Lewis al sax tenore, così come al supporto di Annie
Nero alle armonie vocali. Il gioco di contrasti fra rapimento e asprezza
si manifesta al meglio nella prima parte del doppio album, toccando l’apogeo
negli stridori chitarristici e nell’esplosione di voci che invadono When
I Was Younger, nel cullante pop acustico di Waiting and
Waiting e nel binomio “tradizionalista” formato da Hare and Hound
e Rock the Cradle, cuore folkie del disco grazie ai colori dettati
da acustiche e banjo, fino a quando la grazia di Singing
to the Mandolin fa un po’ da spartiacque per nuovi traguardi,
oppure passando per assodati temi musicali (Tumblin Down, Over
the Pass).
Quasi inevitabile pagare il pegno della ripetizione in un doppio che ha
la brama di dire tutto e di più dell’intera esperienza dei Bonny Light
Horseman, i quali da qui in avanti si fanno un poco più introspettivi
(The Clover, Into the O) e languidamente sospesi tra l’invocazione
della Mitchell in Speak to Me Muse e i palpiti jazzy del duetto
di Your Arms (All the Time), ma anche
capaci di chiudere tra l’agitazione liberatoria di See
You Free, tra le onde di suono e riverberi che le voci e la
chitarra elettrica restituiscono all’ascolto.
Tre dischi e un’opera che comincia a stagliarsi nitida nel rinnovato linguaggio
folk di questi anni.