Venuti alla ribalta nella
metà dei Novanta, quando il grunge era già diventato una voce significativa
della contabilità di multinazionali e stazioni radio, i Say ZuZu di
Cliff Murphy e dei fratelli Jon e James Nolan - tutti e tre provenienti
dal New Hampshire - appartenevano, seppure per una manciata di anni soltanto,
a quella generazione di ragazzi americani che, invece di appassionarsi
in autonomia al "nuovo rock" indipendente del decennio appena
trascorso, avevano esperito la propria formazione musicale ascoltando
i dischi dei genitori, e quindi, nello specifico, ingurgitando razioni
ippiche di Billy Joe Shaver, Willie Nelson, Bruce Springsteen, Eagles,
Tom Petty & The Heartbreakers, Johnny Cash, Neil Young e molti altri.
Erano loro, del resto, i primi a riconoscerlo e a rendersi conto di far
parte di un fenomeno nazionale, irrisorio nei numeri (commerciali) benché
diffusissimo, al quale certa stampa, individuando in esso tratti comuni
(riguardanti soprattutto la dimensione elettroacustica dell’insieme e
la propensione per un classic-rock pervaso dai rimandi alle cosiddette
"radic"i), appiccicò l’etichetta di alternative-country, se
non altro cogliendo nel segno in relazione a una parafrasi davvero "alternativa",
cioè estranea ai circuiti del mainstream, di quel suono bastardo, tra
country, folk, blues e tradizioni sudiste, da sempre alla base della migliore
musica a stelle e strisce. Porre enfasi, oggi, su questi aspetti della
biografia dei Say ZuZu, corrisponde a un tentativo di comprensione delle
difficoltà incontrate dal gruppo nel trasformarsi in qualcosa di diverso
da un onesto e per qualche anno entusiasmante dopolavoro: No Time
To Lose, infatti, è "solo" il loro sesto disco in quasi
trent’anni di (altalenante) carriera e il primo di canzoni nuove da venti
e passa stagioni a questa parte, e una discografia così striminzita non
si spiegherebbe se non tenessimo presente il destino incontrovertibile
di certe sonorità, da tempo immemore più apprezzate in Europa che in patria,
e la dimensione fatalmente "di nicchia" in cui un po’ tutto
l’alt.country, salvo rarissime eccezioni, è pur sempre rimasto.
Eppure, in un’epoca di simulacri e illusioni, di post-verità spacciate
per granitici postulati, il neorealismo rock dei Say ZuZu suona necessario,
romantico e coinvolgente come mai prima d’ora, quasi indispensabile per
chi ancora voglia coltivare il sogno di un "mondo a parte" dove
un riff stropicciato e una ballata nostalgica possano dire, sulle emozioni
del nostro quotidiano, verità più attendibili di quelle di qualsiasi trattato.
Certo, No Time To Lose non è perfetto, ma nessuno, d’altronde,
pretendeva lo fosse. Ci basta così, elettrico e ruvido com’è, a tratti
sgangherato e in altri momenti eccessivamente intimista, fatto di alti
bassi proprio come la vita della quale vorrebbe offrire, riuscendoci,
un ritratto non edulcorato, dispiegato attraverso canzoni che sembrano
il punto di convergenza di tanti orizzonti immaginati, con pazienza e
metodo, nel corso degli anni.
Perché Highway Sings & Driving Songs (1995) o Take These Turns
(1997) erano più freschi, vivaci e creativi, non c’è dubbio, ma quanti
si fossero persi, allora, nel reticolato rootsy delle loro storie di provincia,
non avvertiranno comunque alcuna difficoltà nel cedere, un’altra volta
ancora, al roots-rock in purezza di Big Horizon
(anzi, la scambieranno probabilmente per un’outtake dei Son Volt di Straightaways
[1997]), al passo epico di Old Soldiers, al robusto valzer chitarristico
di As Much Love, al country-rock spumeggiante di What
It Looks Like In Heaven o a quello più elegiaco e raccolto
dell’intensa This Fire. Né resisteranno, c’è da scommetterci, al
folk-rock dylaniano dell’ultima Plum Island e in particolare a
quella commossa ballata elettrica che risponde al nome di Pawn
Shop, cronaca tanto lineare quanto sincera del rimorso provato
dal narratore nel recarsi al banco dei pegni per consegnare una chitarra
valutata "solo trecento dollari per tutti gli anni di gioia procurati".
Non so dire se in tutto questo tempo i Say ZuZu, dal punto di vista
della scrittura e delle esecuzioni, siano diventati "grandi".
Una cosa, però, la so per certo: è un piacere, per chi c’era o per chi
l’ha semplicemente sentito dire, ascoltare le 10 canzoni di No Time
To Lose e, insieme ai loro artefici, sentirsi di nuovo giovani.
P.S. Ignoro anche (tra le moltissime cose a me del tutto sconosciute)
chi abbia scritto la scheda dei Say ZuZu campeggiante su Wikipedia. Ma
quella scheda spiega parecchio, e dice molto sul perché, qui da noi, uno
spazio d’affetto per il gruppo c’è stato e ci sarà sempre.