A sessantacinque
anni Marty Stuart è diventato il musicista che voleva sempre essere,
ambasciatore di un suono “cosmico” americano e divulgatore di una country
music che trova la sua profonda ragion d’essere nel passaggio di testimone
avvenuto tempo fa da Nashville alla California, quando i freak psichedelici
scoprivano le gioie della campagna e l’elettricità del rock’n’roll sposava
la memoria del passato. Non tutti ci avrebbero scommesso, quando Marty
era uno dei tanti “nuovi tradizionalisti” in cerca di un riconoscimento:
grandi capacità allo strumento, da enfant prodige, forse con una visione
meno determinata rispetto ad altri suoi colleghi usciti allo scopertto
in quella lontana stagione, era la prima metà degli anni Ottanta.
Ora non ci sono più dubbi e tanto meno sudditanza, perché il marchingegno
costruito con The Fabulous Superlatives è perfettamente oliato,
una macchina che produce american music lucida e cromata, dando
libero sfogo a una sagra di chitarre elettriche, con volteggiare di pedal
steel, fiddle e piano, che è una sorta di enciclopedia dei suoni che si
sono incrociati sulle grandi arterie stradali del paese: country, surf
music, honky tonk, garage rock, blues e psichedelia che si rincorrono
senza soluzione di continuità. In cantiere da sei anni, tanto è passato
dall’ultimo splendido vagito della band con Way
Out West, sorta di concept sull’attrazione dell’Ovest californiano
e traversata del suo deserto, Altitude resta ancora nei
paraggi e rimugina sull’amore indiscriminato per i Byrds e le chitarre
di Roger McGuinn e del troppo spesso dimenticato Clarence White, sfortunato
chitarrista della seconda fase del gruppo, qui un fantasma che aleggia
su tutti i rimpalli e i dialoghi che Marty Stuart e il fedele Kenny Vaughan
si inventano fra le loro sei corde.
A scacciare ogni dubbio sulla fonte di ispirazione (ma bastava la copertina,
non trovate?) c’è lo strumentale Lost Byrd Space
Train, diviso in tre parti lungo l’intera scaletta, e che se
avrà preso quel titolo una ragione (seria) ci dovrà pur essere. Nel mezzo
scorrono fiumi di ricordi e bilanci personali (l’esplosiva introduzione
di Country Star) nonché riflessioni più prosaiche su quanto vissuto
in questi anni (il jingle jangle da manuale di Sitting Alone),
dove l’essenziale è rappresentato dallo scintillio sonoro e dai
fuochi d’artificio dei Fabulous Superlatives, che si sono dati quel nome
per un buon motivo e nessuno può sinceramente avanzare una sola rimostranza.
Completati dalla sezione ritmica di Harry Stinson e Chris Scruggs, con
un fuoriclasse come Stuart al timone e un battitore libero a fargli da
spalla (Kenny Vaughan, uno dei migliori a Nashville, chiedete in giro),
sono la country’n’roll band ideale per il sabato sera, caricati a molla
nella cavalcata tutta tremori country&surf di A
Friend Of Mine, sottilmente western e psichedelici negli orizzonti
di Space, un titolo e un programma, classici nel vestito honky
tonk della festa in Altitude (George Jones approva, da qualunque
parti si trovi, forse a farsi un goccetto al bar) e in quello baldanzoso
e rockabilly di Tomahawk (e qui arriva
anche Johnny Cash al bancone).
Album nato “on the road”, tra una celebrazione e un anniversario, un nuovo
teatro da inaugurare (l’Ellis Theater nella sua nativa Philadelphia, Mississippi)
e un altro dove tornare a fare festa (lo storico Ryman Auditorium dove
Stuart è ormai di casa), Altitude mette in fila le luci abbaglianti
della città (Vegas, pezzo di purissima
cosmic cowboy music), le notti blues dei locali (una Nightriding
che sarebbe piaciuta a Tom Petty, magari quando ascoltava JJ Cale), il
rock’n’roll stradaiolo che punta da Nashville verso Memphis (Time to
dance) e una preghiera acustica per far calare il sipario (The
Angels Came Down). Tutto restituisce il miracolo di quella american
music che nella sua memoria e nella capacità di interpretarla con
tecnica e passione trova le ragioni per celebrarsi di continuo.