La chioma
fluente e imbiancata dell’autrice, quel suo orgoglioso atteggiamento di
fronte al passare del tempo, ben lontano da certe artificiose pose da
star di molte colleghe, restituisce già quel senso di saggezza che sembra
ricoprire buona parte delle canzoni di Keep Your Courage,
decimo album di studio per Natalie Merchant e a tutti gli effetti
il primo di canzoni originali dal lontano 2014. Definito dalla Merchant
stessa un disco sul cuore dell’umanità, legando la radice della parola
“courage” al latino cor/cordis, non è un mistero che sia nato nel
bel mezzo della tempesta pandemica, raccogliendo brani composti tra il
2019 e il 2022, ma adattandoli a un obiettivo più profondo della semplice
cronaca sociale di questi anni.
Sofitiscato e sentimentale al tempo stesso, fedele all’immagine sonora
della protagonista, così come abbiamo imparato ad amarla in opere quali
Motherland o Leave
Your Sleep, Keep Your Courage si accoda naturalmente
a quel percorso e riesce anche a far dimenticare un lungo decennio artisticamente
un po’ appannato e confuso, nel quale Natalie aveva ceduto al mestiere
nell’omonimo album
del 2014 e lo aveva fatto seguire da rielaborazioni e raccolte di vecchio
materiale, dando la sensazione di una musicista in crisi di identità.
Qui completamente rigenerata fin dall’incipit di Big
Girls e della gemella Come on, Aphrodite,
ballate illuminate da un afflato gospel soul e cantate in coppia con l’ospite
Abena Koomson-Davis (dal gruppo vocale Resistance Revival Chorus), la
Merchant non ha paura di affrontare l’amore, la malattia e la vita nelle
sue espressioni personali e universali con uno stile che si pone in equilibrio
tra eleganza, ambizione e sentimento, guidata dalla sua passione mai celata
per la poesia e la letteratura.
Per nulla immediato, semmai lussureggiante negli arrangiamenti, che prevedono
orchestrazioni curate da ben sette compositori diversi, Keep Your Courage
distende quel connubio folk pop che la voce aggraziata di Natalie riesce
a condurre in una dimensione malinconica e speranzosa al tempo stesso:
fulcro di questo atteggiamento la lunga suite “femminista” di Sister
Tilly, circondata dalla ricercatezza melodica di Narcissus
e dal delicato drappeggio di Guardian Angel, che insieme ai brani
iniziali già citati formano una prima parte della raccolta, la più studiata
dal punto di vista compositivo.
Per foturna il percorso di ricerca della Merchant non dimentica mai gli
aspetti più immediati e brillanti delle sue composizioni, coinvolgendo
i profumi irish degli ospiti Lúnasa, così come il clarinetto del siriano
Kinan Azmeh e il trombettista di estrazione jazz Steve Davis. Da qui affiorano
strada facendo la chiarezza acustica di Eye of the Storm (e non
andrebbe tralasciata l’unica cover presente, guarda caso un brano degli
irlandesi Lankum, la marziale Hunting the Wren), le movenze in
puro stile New Orleans di una “politica” Tower
of Babel, l’intima essenza folkie dell’autrice che risalta
in Song of Himself. In questo viaggio al centro dei nostri cuori,
feriti e sballottati, una serie di figure mitologiche (Afrodite, Narciso),
religiose (il San Valentino dell’accorato finale con The Feast of San
Valentine,ma andrebbe sottolineata anche la copertina con
la statua di Giovanna D'Arco) di riferimenti artistici (Buffy Saint-Marie)
e letterari (Walt Whitman, Joan Didion, a quest'ultima va la dedica dell'intero
album) accompagnano un songwriting che si esprime per metafore, vola alto
e non ha paura di apparire poetico e raffinato, ma sa giungere miracolosamente
a toccare le corde più intime e naturali dell’ascoltatore.