Bruce
Cockburn è di quelli che si fanno ritrovare. Poco importa che siano
passati quattro anni dall’ultimo lavoro, Crowing Ignites, e che
mezzo secolo di carriera sia un arco temporale sufficientemente ampio
da non escludere scivoloni. Lui niente, coerente come sempre. Perciò riecco
l’amabile songwriter che conosciamo e che ben riconosciamo in questa dozzina
di nuove canzoni che nulla perdono della consueta grandezza compositiva.
Si direbbe che Cockburn stesso desideri ritrovarsi visto che, anche per
la produzione di O Sun O Moon si affida al connazionale
Colin Linden, canadese come lui e visto che conserva il vezzo di annotare,
a piè di testo, luogo e data di composizione. Meticolosità da leggersi
come riguardo per l’ascoltatore, il quale non solo viene agevolato nella
comprensione dei testi (sempre riportati nelle confezioni dei suoi dischi)
ma può anche appropriarsi delle coordinate spazio-temporali che li hanno
concepiti. Sembrerà faccenda di poco conto ma sapere che, per esempio,
il brano Into the Now (bel titolo)
è stato scritto a Maui durante una pausa hawaiana, spiega quell’accordion
che insuffla relax meglio di una benzodiazepina.
Ma la sento la domanda incalzante del lettore diffidente circa l’appannamento
creativo dell’età, e immediatamente lo rassicuro. Anzi, gli suggerisco
una nuova categoria di lavori discografici: quelli che, se non fosse per
gli stimoli apportati dalla senilità, non sarebbero così belli. Chi cerca
il fine cesellatore di armonie acustiche lo troverà in Haiku, strumentale
che trasla la forza poetica del componimento letterario in territori musicali.
Chi invece desidera testare la coerenza ideologica e in particolare la
sensibilità alle problematiche ambientali mostrata in diverse occasioni,
troverà soddisfazione in To Keep the World We
Know, unico brano non interamente autografo bensì co-firmato
con Susan Aglukark. Ancor più appagati saranno coloro che si aspettano
il proseguimento dell’esplorazione introspettiva: qui ne troveranno a
iosa, per di più arricchita dalle nuove consapevolezze dell’età.
Disco depresso dunque? Ma no. Semplicemente generato da un punto di osservazione
differente, tuttavia sereno. I musicisti reclutati hanno compreso il compito
assegnato e hanno saputo caratterizzare il suono, che guadagna in poeticità
quando viene sfiorato dalla fisarmonica di Jeff Taylor o dal mandolino
di Sarah Jarosz o ancora dal contrabbasso di Viktor Krauss. Ad aprire
il disco provvede invece la resofonica di Cockburn in persona e On
a Roll va subito al punto chiarendo che il tempo – è vero –
esige un pedaggio, tuttavia lui si sente su di giri. Talmente su di giri
da penetrare in distretti poco frequentati, impostando una voce waitsiana
come in King of the Bolero, dove si diverte a ritrarre un musicista
da bar, con il fumo del locale che s’intuisce da un tamburo spazzolato
e da un accordion da lungosenna. Un breve divertissement che cede subito
il passo alle canzoni centrali, quelle ispirate all’abbraccio universale,
filo rosso dell’intera produzione di Cockburn. Perché, anche se lui resta
“un solitario con un solitario punto di vista”, come si descriveva ai
tempi di Inner City Front, pochi credono quanto lui nell’uguaglianza
tra gli individui e nella compassione per il genere umano.
Hemingway sconsigliava di iniziare una frase con il pronome “io”. Troppo
egocentrico. Cockburn predilige il plurale e c’è un “noi” anche nella
traccia trainante Us All. Non bastasse,
ci mette anche un “tutti”, perché è almeno da quando faceva colazione
a New Orleans e cenava a Timbuktu che ragiona in termini universali. I
violini solenni di Us All accompagnano questo concetto: “Che piaccia
o no, la razza umana siamo tutti noi. Le cicatrici che ci infliggiamo
a vicenda non si cancellano, ma lentamente si immergono nel DNA comune”.
Perché in fondo – rincara – non importa se ti trovi a Manhattan o a Dakar,
non importa come la pensi, cosa fumi o cosa bevi: sei comunque un filo
del telaio. E questi sono i quattro minuti di When the Spirit Walks
in the Room. Convinzioni perfette per sonorità gospel che in effetti
si rinvengono, propiziati dagli interventi vocali delle sorelle Ann &
Regina McCrary, nella traccia O Sun By Day O
Moon By Night, il cui umore ricorda il Nick Cave toccato dalla
luce, con quel “glory” reiterato che è un anelito.
A chi si aneli quando il tempo si assottiglia è superfluo specificarlo,
soprattutto per chi come Cockburn è di fede cristiana. E allora che fare
se non un bilancio spirituale della propria vita, per depositarlo garbatamente
in una canzone, esattamente quella che chiude il disco? In When
You Arrive c’è una chiesa chiusa per Covid e ritorna un’altra
volta l’età che si fa sentire. Ma “quando arriverai le campane suoneranno”
e allora sarà gioia. Lo confermano lo swing scanzonato e il coro da calici
alzati cui partecipano tutti i vocalist sparsi nelle varie tracce del
disco. Piacerà sicuramente al Signore degli Starfields, quando lo incontrerà.