Se non sapessi che provengono
dalla zona di Toronto, Canada, avrei localizzato l’origine dei Bywater
Call nelle paludi della Louisiana, a New Orleans, a Memphis o nella
zona dei Muscle Shoals Studios. Si sono fatti notare a fine 2019 con l’omonimo
esordio che ha stazionato a lungo nelle classifiche canadesi
di settore. La pandemia ha impedito una degna promozione dell'album, ma
hanno comunque suonato in molti festival locali e attraversato l’oceano
un paio di volte, trovando una calda accoglienza in nord Europa, dove
torneranno nel 2023, quando per la prima volta suoneranno anche negli
Stati Uniti.
Guidati dalla voce potente ed espressiva di Meghan Parnell e dalla chitarra
di David Barnes, che ne sono anche i principali autori, i Bywater Call
suonano una miscela di southern soul e roots music con influenze blues
e gospel di notevole caratura ed intensità. Completati da una sezione
ritmica, dalle tastiere e da una coppia di fiati che colorano e arricchiscono
il suono, hanno sicuramente il punto di forza nella voce davvero notevole
di Meghan, accostabile inevitabilmente a quella di Susan Tedeschi, anche
se dotata di una maggiore duttilità e robustezza. Remain
- album uscito alla fine dello scorso luglio - è arrangiato con maggiore
cura rispetto all’esordio e denota progressi in ambito compositivo, mantenendo
l’emotività e il calore del disco precedente.
L’energica Falls Away è una partenza
briosa e poderosa allo stesso tempo, con la chitarra slide di Barnes e
le tastiere di Alan Zemaitis che creano un accompagnamento adeguato alla
veemente interpretazione di Meghan, che si ripete nell’accattivante e
avvolgente soul di Lover Down Slow, in cui spicca di nuovo la slide,
che ricorda il suono della Tedeschi Trucks Band non solo per la voce,
e in Remain, una ballata emozionante
sulla perdita di un amore dovuta alla distanza fisica e mentale, con una
chitarra bluesata e dei fiati malinconici, che cresce di vigore nel finale.
In brani come la ritmata Let Me Be Wrong, la fiatistica Left
Behind e la funkeggiante Ties That Bind si respira un’atmosfera
da anni Settanta che può apparire eccessivamente derivativa, anche se
non c’è nulla fuori posto e il groove è irresistibile, specialmente in
quest’ultima, mentre nella ruvida Go Alone la chitarra, sia elettrica
che slide, assume un ruolo primario.
Tracce più quiete come l’appassionata Fortune e Locked,
tinta di sapori di southern gospel con un organo da chiesa che affianca
la voce sofferta della Parnell e un crescendo palpitante, confermano l’evoluzione
della formazione canadese, che chiude l’album con l’entusiasmo contagioso
di Bring It Back.